LA CLEAN BEAUTY

E RIDUZIONE

DEGLI SPRECHI
IN COSMETICA

In una realtà in cui i consumatori sono sempre più attenti e interessati alle tematiche green, la sostenibilità ambientale può rappresentare per qualsiasi impresa non solo una scelta etica ma anche una strategia vincente dal punto di vista competitivo, poiché dimostra il concreto interesse da parte dell’azienda stessa nei confronti delle tematiche ambientali, con un ritorno d’immagine positiva e responsabile.


In ambito cosmetico, la riduzione degli sprechi può manifestarsi attraverso numerosi approcci, dal processo produttivo (utilizzo di ingredienti a km zero o derivanti da scarti dell’industria alimentare, risparmio idrico e recupero delle acque reflue, utilizzo di fonti di energia rinnovabili - per fare alcuni esempi) al packaging finale, con utilizzo di materiali biodegradabili in sostituzione della plastica, di materiali riciclati o addirittura prevedendo il riutilizzo dei contenitori, come ormai da anni propongono numerose aziende, soprattutto nell’ambito dei prodotti per l’igiene personale e per la pulizia della casa (1,2,3).


Senza la pretesa di un elenco completo degli innumerevoli approcci possibili, verranno di seguito riportati alcune fra le strategie più recenti e innovative in termini di riduzione degli sprechi e sostenibilità ambientale in ambito cosmetico.

    INTRODUZIONE

    Uno dei trends più recenti in ambito di clean beauty è l’utilizzo di scarti della filiera agroalimentare per la produzione di prodotti cosmetici ricchi di molecole bioattive di origine naturale.


    A fronte di un crescente interesse nei confronti dei cosmetici contenenti ingredienti di origine naturale, è aumentata negli ultimi anni la coltivazione di piante medicinali o aromatiche, ricche di sostanze bioattive quali alcaloidi, composti fenolici, flavonoidi, steroidi, tannini e terpeni, dalle ben note proprietà benefiche sulla salute umana (4,5,6,7,8). Tuttavia, esistono problemi non sempre facilmente risolvibili, che riguardano soprattutto la resa quantitativa, la standardizzazione delle tecniche di estrazione, lo scalaggio industriale, la sicurezza d’uso per il consumatore finale e, quasi paradossalmente, un impatto ambientale difficilmente sostenibile nel lungo periodo.

    Le colture di opportune linee di cellule vegetali possono dare un enorme contributo in questo senso, poiché permettono di avere a disposizione una fonte potenzialmente illimitata di fitocomposti, svincolata da geografia e stagionalità e con l’ulteriore vantaggio di ottenere sostanze standardizzate, senza residui di pesticidi e soprattutto senza l’impatto ambientale che comportano le colture tradizionali. Le cellule vegetali, infatti, sono in grado di riprodursi efficacemente anche in vitro, dando origine agli organi e ai tessuti della pianta di origine, quando non alla pianta intera, grazie alla loro plasticità e alla presenza di cellule totipotenti, situate nei germogli e nelle radici - del tutto analoghe alle cellule staminali dei tessuti animali (9,10,11,12,13).


    Sebbene utilizzate da anni - e con un buon grado di successo - nell’industria farmaceutica, le tecniche di coltivazione di cellule vegetali presentano ancora diverse criticità da affrontare: tra esse, i costi ancora relativamente alti, la difficoltà nell’individuare i bioreattori adeguati per la produzione su larga scala, la scarsa conoscenza di alcuni processi biochimici alla base della produzione dei metaboliti di interesse e la conseguente difficoltà nel selezionare le linee cellulari più adatte (9,14).


    Ciononostante, l’interesse per questa tecnologia produttiva resta alto, come testimonia il progetto europeo InnCoCells (Innovative high-value cosmetic products from plants and plant cells), coordinato dal Technical Research Centre of Finland, che vede coinvolti, a livello italiano, i ricercatori dell’ENEA, l’Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, l’Energia e lo Sviluppo Economico Sostenibile, in collaborazione con l’azienda Arterra Bioscience (15): si tratta di un progetto finanziato dal programma Horizon 2020, che coinvolge 12 Paesi europei e 17 partner e che prevede l’utilizzo di materie prime vegetali (tra cui curcuma, kencur, peonia, mirtillo rosso, gelsomino e liquirizia) per la realizzazione di prodotti cosmetici innovativi. L’obiettivo del progetto, lanciato nel 2021, è quello di ottenere, su larga scala e mediante processi sostenibili, molecole bioattive da utilizzare nei prodotti cosmetici: tali molecole saranno ottenute a partire da piante di uso alimentare, coltivate in serra o in condizioni idro-aeroponiche, o da colture di cellule vegetali realizzate in laboratorio.


    CLEAN BEAUTY: DALLE CELLULE VEGETALI AL PRODOTTO COSMETICO

    La consapevolezza ambientale non può prescindere dall’attenzione al risparmio della risorsa più preziosa che abbiamo, ossia l’acqua (16). Nell’ottica della sostenibilità ambientale, l’utilizzo di prodotti cosmetici disidratati potrebbe diventare una strategia importante, al fine di ridurre il consumo idrico in fase di processo e i consumi in fase di trasporto: la maggior parte dei prodotti cosmetici (soprattutto quelli per l’igiene personale) arriva a contenere fino al 95% di acqua e questo richiede l’utilizzo di packaging ingombranti ed elevati volumi di trasporto, con conseguente impronta ecologica considerevole in termini di inquinamento ambientale.

    Non solo, la presenza di acqua comporta il rischio di contaminazione microbica del prodotto – sia in fase di produzione, che di stoccaggio, che nelle fasi successive all’apertura della confezione da parte del consumatore: da qui la necessità di utilizzare conservanti, spesso potenzialmente dannosi sia per l’uomo che per l’ambiente (17,18), i quali possono invece essere evitati in caso di prodotti disidratati.


    Da alcuni anni stiamo assistendo alla comparsa sul mercato di prodotti cosmetici “waterless”, ovvero senza acqua: si tratta, oltre che dei già noti saponi detergenti, di shampoo, balsami e creme viso e corpo che si presentano in forma solida o come polveri da reidratare al momento dell’uso. In virtù delle loro caratteristiche, questi prodotti non necessitano di confezioni di plastica per l’imballaggio, il quale può quindi essere realizzato con materiali più ecocompatibili, come carta e cartone.


    Nell’ambito della ricerca scientifica e tecnologica su formulazioni cosmetiche innovative senza l’utilizzo di acqua, i ricercatori dell’Università dell’Est Anglia, guidati dalla professoressa Sheng Qi, hanno recentemente sviluppato una particolare tecnologia per convertire prodotti di bellezza, come creme idratanti, creme solari, shampoo e balsami, in dischi di carta, simili ai coriandoli, del peso di pochi mg, con lo scopo dichiarato di ridurre gli imballaggi e le emissioni di anidride carbonica. La tecnica -sviluppata in origine per l’industria farmaceutica – può essere agevolmente applicata all’ambito cosmetico, poichè permette di eliminare fino al 98% del contenuto di acqua, senza l’utilizzo del calore e quindi senza compromettere la stabilità degli ingredienti: la successiva reidratazione, fatta al momento dell’utilizzo con poche gocce d’acqua, restituisce il prodotto nella forma originale, di crema o lozione pronta all’uso (19).

    La tecnologia è in fase di brevetto e non ancora applicabile su larga sala, ma le prospettive sono senz’altro interessanti e aprono scenari potenzialmente rivoluzionari in termini di sostenibilità ambientale.

    WATERLESS BEAUTY: LA COSMETICA SENZ’ACQUA

    SONJA BELLOMI

    Fondazione ITS Biotecnologie e Nuove Scienze della Vita Piemonte | Italia

    Bio...

    L'uso di materiali come il vetro riciclabile, il cartone certificato FSC e le bioplastiche a base vegetale (come il PLA, l’Acido Polilattico, realizzato da mais, patate o canna da zucchero) sta diventando sempre più comune per il confezionamento dei cosmetici. Non solo: anche i sottoprodotti dell’industria alimentare possono rappresentare un’opportunità nell’ambito della ricerca di materiali biodegradabili per il settore del confezionamento. Un esempio in questo senso arriva da un prodotto che rappresenta per l’Italia una delle eccellenze nazionali, l’olio di oliva. Ricco di componenti bioattivi con riconosciuta azione benefica per la salute (acidi grassi mono- e polinsaturi, polifenoli, fitosteroli, terpeni ecc.), sia in ambito nutrizionale che cosmetico (20,21,22), l’olivo può rappresentare anche una valida risorsa per il packaging biosostenibile (23,24): i sottoprodotti della lavorazione dell’olio, infatti, come foglie, acque reflue, sansa di oliva (la frazione solida che rimane dopo la spremitura, composta da polpa, bucce e noccioli), sono altrettanto ricchi di composti bioattivi che non vengono estratti durante il processo di estrazione dell’olio e che potrebbero essere efficacemente recuperati e riutilizzati per la realizzazione di contenitori a zero impatto ambientale e, allo stesso tempo, efficaci nel garantire un’adeguata shelf-life dei prodotti confezionati, proteggendo il contenuto da ossigeno e luce.


    Alcuni risultati incoraggianti in questo senso sono stati già ottenuti nel confezionamento di prodotti alimentari, come nel caso dell’aggiunta di farina o microparticelle di sansa di oliva, ottenute tramite spray-drying, a un biofilm realizzato con chitosani. Il materiale così ottenuto è stato utilizzato per rivestire delle noccioline: i risultati hanno evidenziato un effetto protettivo nei confronti dell’ossidazione per 31 giorni di conservazione dell’alimento (25). L’applicazione è stata valutata in ambito alimentare, ma nulla vieta - una volta standardizzato il procedimento e confermati i risultati -di estenderla ad ambiti diversi, come quello dei prodotti cosmetici.


    A livello italiano, è stato avviato un interessante progetto, “SOS - Sustainability of the Olive Oil System” (26), finanziato da Ager (Fondazione in rete per la Ricerca Agroalimentare), che vede coinvolte sei università italiane, con l’obiettivo di aumentare la sostenibilità della filiera olivicola, dallo studio delle “cultivar” più promettenti dal punto di vista della resa qualitativa e quantitativa, all’utilizzo dei sottoprodotti da utilizzare nella produzione di alimenti funzionali, al packaging, con il recupero di scarti della produzione di olio di oliva per realizzare contenitori biocompatibili e, allo stesso tempo, in grado di salvaguardare le caratteristiche organolettiche del contenuto.

    PACKAGING ALL’OLIO DI OLIVA…O QUASI

    Riduzione degli sprechi, riciclo dei materiali, ottimizzazione dei processi produttivi, packaging ecosostenibile…sono molte le strategie possibili per il raggiungimento dell’obiettivo comune di una cosmesi davvero green, che attinga alle risorse naturali, ma allo stesso tempo le preservi e le rispetti.

    In questo senso, se scienza e tecnologia sono fondamentali per offrire soluzioni sempre più efficaci e all’avanguardia, un ruolo fondamentale è occupato dal consumatore finale, che con le sue scelte può indirizzare le aziende ad adottare strategie sempre più improntate alla salvaguardia dell’ambiente.


    Nell'evoluzione dell'industria cosmetica, il consumatore ha assunto un ruolo centrale e sempre più influente nelle strategie aziendali. Non più semplici spettatori, i clienti finali sono ora considerati partner attivi nelle decisioni aziendali, guidando l'innovazione, la sostenibilità e la creazione di prodotti che rispondano alle loro esigenze e desideri (16).


    La crescente consapevolezza ambientale dei consumatori sta spingendo le aziende cosmetiche a considerare la sostenibilità come un punto chiave delle proprie strategie. Chi acquista prodotti cosmetici tende a preferire marchi che adottano pratiche sostenibili e riducono l'impatto ambientale (27,28,29): di conseguenza, sempre più aziende –spinte da un’autentica sensibilità ambientale o semplicemente alla ricerca di un ritorno d’immagine green - stanno adottando imballaggi ecologici, ingredienti naturali e pratiche di produzione sostenibile.

    CLEAN BEAUTY: PROSPETTIVE FUTURE

    Riferimenti bibliografici

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    SKINIMALISM