LA “TRANSIZIONE NUTRIZIONALE” COME PREVENZIONE DELLE MALATTIE
NON TRASMISSIBILI
In epoca recente abbiamo assistito alla profonda trasformazione del sistema alimentare che ha portato a enormi ripercussioni sulla salute pubblica e contemporaneamente ha generato un forte impatto ambientale, favorendo il cosiddetto fenomeno della “transizione nutrizionale”. Questo passaggio a modelli dietetici poco equilibrati ha portato ad un incremento del rischio di malnutrizione sia per eccesso di nutrienti che per difetto di macro e micronutrienti, che si è verificato nei paesi sviluppati così come in quelli più poveri, a causa dell’aumentato utilizzo di cibi ultra processati (UPF: Ultraprocessed foods). A livello globale la transizione nutrizionale ha perciò peggiorato la salute pubblica con aumento delle malattie croniche non trasmissibili (NCDs: non-communicable chronic diseases) e ha aumentato l’impatto ambientale aumentando la produzione di gas serra che nel sistema agro-alimentare si genera a partire da allevamenti e coltivazioni intensive, per arrivare al packaging e alla distribuzione fino al consumatore finale nel cosiddetto percorso “farm to fork”, aumentando inoltre gli sprechi alimentari.
INTRODUZIONE
Gli UPF o alimenti ultra-trasformati sono di derivazione prevalentemente industriale e comportano un aumentato introito energetico in quanto densi di calorie cosiddette “vuote”. Sono frequentemente precotti e/o preconfezionati, hanno una lunga conservazione, sono pronti da mangiare senza necessitare di ulteriore preparazione; sono spesso poveri di proteine ma di origine animale e sono ricchi dei cosiddetti “quattro bianchi” cioè zucchero, sale, farina e latte. Inoltre, negli UPF si trovano additivi alimentari, ingredienti estratti da alimenti semplici o altrimenti ottenuti da processi di lavorazione quali grassi e oli idrogenati, proteine idrolizzate, amidi modificati, zucchero invertito, ecc. Tutto ciò li rende altamente palatabili, attrattivi e convenienti, ma se assunti in eccesso favoriscono lo sviluppo di obesità e delle comorbidità ad essa correlate (1), quali le NCDs come malattie cardiovascolari e metaboliche, osteoarticolari, neoplastiche e respiratorie.
I UPF appartengono al quarto gruppo secondo la classificazione NOVA (2) che si basa sul livello di trasformazione:
- Gruppo 1: Alimenti non trasformati o minimamente trasformati (frutta, verdura, uova, carne, latte, ecc.).
- Gruppo 2: Ingredienti culinari trasformati (olio, burro, erbe aromatiche, zucchero e sale) derivate da alimenti del gruppo 1 o dalla natura mediante processi quali pressatura, raffinazione, macinazione, essiccazione. Non sono pensati per essere consumati da soli ma vengono utilizzati per condire, cuocere e realizzare in combinazione con alimenti del Gruppo 1 vari prodotti e piatti (stufati, zuppe e brodi, insalate, pane, conserve, bevande e dolci) da consumare o conservare a lungo
- Gruppo 3: Alimenti trasformati. Sono ottenuti unendo alimenti dei gruppi 1 e 2, costituiti da prodotti alimentari di uso domestico (pane, marmellate, ecc.) formati da pochi ingredienti.
- Gruppo 4: Alimenti ultra-trasformati. Sono quelli che utilizzano molti ingredienti, compresi additivi alimentari naturali o sintetizzati in laboratorio (coloranti, aromi, esaltatori di sapidità) che migliorano la palatabilità, materie prime elaborate o estratte dagli alimenti (grassi idrogenati, amidi modificati, ecc.) e ingredienti raramente utilizzati nella cucina casalinga (proteine della soia, carne separata meccanicamente, ecc).
GLI ALIMENTI ULTRAPROCESSATI (UPF)
MARIA GRAZIA CARBONELLI
EDDA CAVA
FEDERICO ROSATO
A.O. San Camillo Forlanini Roma, U.O. Dietologia e Nutrizione | Italia
Bio...
Edda Cava
Nutrizionista clinica laureata in Medicina e Chirurgia nel 2009 e specializzata nel 2015 in “Scienza dell’Alimentazione” presso l’università Sapienza di Roma. Ha svolto ricerca clinica presso il Center for Human Nutrition della Washington University in St. Louis. Dal 2017 è tornata in Italia per dedicarsi principalmente alla nutrizione clinica di pazienti ricoverati o ambulatoriali nell’ambito della malnutrizione sia per eccesso che per difetto.
Maria Grazia Carbonelli
Laureata in Medicina e Chirurgia, specializzata in Scienza dell’Alimentazione ed in Igiene e Medicina Preventiva dirige l’unità operativa di Dietologia e Nutrizione dell’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini di Roma composta da tre Medici nove dietisti e due infermieri.
Si occupa di nutrizione clinica e di grave obesità. Ha ricoperto per due mandati il ruolo di Consigliere Nutrizionale della SICOB ed attualmente è consigliera dell’ADI Nazionale.
Federico Rosato
Diplomato alla Scuola Internazionale A.L.M.A. di Cucina Italiana di Gualtiero Marchesi, ha conseguito con lode la Laurea in Dietistica presso L’Università Cattolica Policlinico Agostino Gemelli di Roma . Collabora con L’UO di Dietologia e Nutrizione dell’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini di Roma.
Il trend di vendite di cibi e bevande UP nel mondo negli ultimi 50 anni risulta di molto incrementato (3), correlandosi in modo direttamente proporzionale anche con l’incremento del BMI (indice di massa corporea) della popolazione (4, 5).
Recenti studi dimostrano come l’aumento del consumo di UPF comporta, inoltre, una ridotta aspettativa di vita (1, 6, 7, 8) e aumento delle NCDs.
Ad esempio, le stime indicano che il rischio di sviluppare diabete mellito di tipo 2 (DM2) sale del 15% per ogni aumento del 10% del consumo di UPF (7).
Ancora più allarmante è il fatto che l’epidemia di obesità interessa fasce sempre più giovani della popolazione e che in parte la causa si possa correlare all’eccessivo utilizzo di UPF (9, 10).
Questi trend sono documentati non solo a livello globale, ma in Europa nel rapporto “WHO European Childhood Obesity Surveillance Initiative (COSI) Report on the fifth round of data collection, 2018-2020 (2022)” (11) e anche in Italia secondo i dati raccolti dall ‘indagine “OKkio alla Salute” che registra a livello nazionale un eccesso ponderale nel 39% dei bambini e il 17 % affetti da obesità (12, 13).
IMPATTO SULLO STATO DI SALUTE
L’impatto o impronta ambientale si può misurare sulla base di tre indici: Carbon, Ecological e Waterfootprint. La transizione nutrizionale oltre a favorire l’assunzione di diete fortemente sbilanciate, ha comportato un impatto fortemente negativo a livello ambientale dal momento che il sistema agro-alimentare genera dal 21 al 37% delle emissioni di gas serra (14) e utilizza circa il 70% delle riserve idriche. A questo bisogna aggiungere la produzione di scarti inquinanti e l’eccesso di sprechi alimentari che contribuiscono all’inquinamento ambientale, anche alla luce di una popolazione in crescita numericamente e di età sempre maggiore.
IMPATTO AMBIENTALE
Nel 2016 l’assemblea generale delle Nazioni Unite (ONU) ha promulgato la “Decade di azione sulla Nutrizione” (UN Decade of Action on Nutrition) capitanata dalla FAO e dall’OMS e sottoscritta dai governi dei 193 Paesi membri definendo i 17 obiettivi da raggiungere entro il 2030 per promuovere uno sviluppo più sostenibile con l’obiettivo di ridurre a livello mondiale la fame e migliorare la nutrizione (15).
Questi obiettivi sono articolati in 169 target e si fondano principalmente su tre pilastri indipendenti: sostenibilità economica, ambientale e sociale.
Obiettivo 2 è porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile, l’ obiettivo 3 è assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età; l’obiettivo 12 è garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo.
Nel 2019 l’OMS in collaborazione con la FAO (16) ha suggerito delle indicazioni per favorire lo sviluppo di diete sostenibili per la prevenzione delle NCDs, tenendo conto dell’impatto ambientale e degli aspetti socioculturali.
In quest’ottica noi italiani non dovremmo assolutamente dimenticare che il 16 Novembre 2016 la nostra Dieta Mediterranea è stata riconosciuta quale patrimonio intangibile dell’umanità dall’UNESCO e si configura come una dieta a basso impatto ambientale (17, 18) e allo stesso tempo continua a collezionare innumerevoli evidenze scientifiche che dimostrano l’efficacia nella prevenzione delle NCDs portando ad un aumento della longevità e degli anni vissuti in salute (19, 20).
DALLA TRANSIZIONE ALLA TRADIZIONE, LA NUTRIZIONE QUALE PERNO PER UNO SVILUPPO SOSTENIBILE
La transizione nutrizionale del sistema alimentare nella società moderna influenza sia i paesi più ricchi che quelli in via di sviluppo con un forte impatto ambientale, sociale ed economico, peggiorando lo stato di salute collettiva e aumentando il rischio di malnutrizione e lo sviluppo di NCDs. Sono pertanto necessarie politiche più consapevoli e sostenibili sin dalla filiera produttiva e trasformativa, fino ad arrivare ad influenzare i modelli alimentari alla base della salute collettiva a livello globale, nel cosiddetto percorso “farm to fork”.
CONCLUSIONI
Riferimenti bibliografici
Riferimenti bibliografici
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