SOLARI E AMBIENTE:

SFIDA PER IL FORMULATORE

Il cambiamento climatico è uno dei principali temi che si stanno affrontando a livello globale. Considerando i suoi devastanti ed evidenti effetti emersi negli ultimi 10 anni, è aumentata la consapevolezza dei forti rischi che tutto questo comporta. La maggior parte delle persone, infatti ha iniziato a modificare i propri comportamenti, con il desiderio di vivere in un pianeta più sano e protetto.

Un esempio molto attuale riguarda i prodotti per la protezione solare, che negli ultimi anni sono sempre più oggetto di attenzione da parte dei media e dei consumatori. Recentemente sono stati condotti numerosi studi per dimostrare che i prodotti cosmetici, soprattutto i prodotti solari, possono avere un impatto negativo sugli organismi acquatici. I più studiati sono i coralli, che stanno subendo notevoli danni a causa proprio del cambiamento climatico. I fattori che stanno compromettendo l’ecosistema marino sono molteplici, ma visto che, seppur con incidenza molto minore, uno di questi fattori è la presenza di filtri solari nelle acque marine, è estremamente importante mettere in atto delle azioni per limitare il problema.

    INTRODUZIONE

    La quantità totale di prodotti solari che vengono introdotti nell’oceano non è esattamente conosciuta, ma sono state fatte alcune stime. Ogni anno vengono rilasciate nelle principali aree in cui è situata la barriera corallina dalle 6000 alle 14000 tonnellate di prodotti solari ed il 40% dei coralli è quindi a rischio di esposizione alle creme solari.

    Sono stati condotti molti studi per investigare la presenza e la concentrazione dei filtri UV nell’acqua e nei fondali marini. Ad oggi i siti analizzati sono ancora pochi, anche se la ricerca sta avanzando in modo molto dinamico. Le concentrazioni di filtri solari individuate nei siti oggetto degli studi, risultano molto variabili e le rilevazioni riguardano principalmente l’Oxybenzone o Benzophenone-3. I componenti sono stati riscontrati a livelli appena rilevabili di poche parti per trilione. In alcuni casi però, sono state rilevate concentrazioni di alcune parti per miliardo, fino a oltre una parte per milione (Tabella 1).

    Data quindi la forte preoccupazione per l’impatto negativo che i prodotti solari potrebbero avere nei confronti dell’ambiente marino, sono in corso numerosi studi scientifici.   

    FILTRI SOLARI E AMBIENTE MARINO

    Tabella 2. Luoghi in cui alcuni filtri solari saranno vietati.

    LAURA BUSATA         

    Cosmetics R&D Senior Specialist | Italia

    Bio...

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    C’è una notevole variabilità negli studi, sia per i filtri solari oggetto di indagine, sia per le quantità e le metodologie utilizzate. Alcuni studi indagano concentrazioni di filtri solari nettamente maggiori rispetto a quelle ambientali, in condizioni sperimentali in cui si crea un contatto diretto con il corallo, con conseguenti reazioni molto forti da parte degli organismi. In alcuni studi relativi ai prodotti finiti, si confrontano prodotti con SPF molto diversi e forme tecniche diverse: questi approcci evidenziano una mancanza di collaborazione fra il mondo della cosmetologia e quello della biologia marina, che per primo si è impegnato a studiare questo problema. Le evidenze finora emerse, comunque, devono spingere a riflettere. 

    I più studiati sono due filtri organici Oxybenzone e Octinoxate, che sono anche i filtri che hanno dato il maggior numero di risultati negativi sul corallo per i danni da sbiancamento. L’esposizione a queste sostanze mette in condizioni di stress le alghe zooxantelle, simbionti del corallo, che tendono ad abbandonarlo provocandone la morte. Tale tossicità è stata studiata soprattutto in acuto e saranno necessari più studi sulle esposizioni croniche tipiche delle zone in cui il turismo balneare prosegue per tutto l’anno. Inoltre, pur con differenze, altri filtri organici mostrano una tossicità sui coralli e per gli organismi marini e anche i filtri inorganici hanno effetti dannosi. Per questi ultimi, la tossicità si esprime a causa del potere ossidante e della formazione di perossido di idrogeno nelle acque in cui vengono rilasciati, effetto che riesce ad essere parzialmente limitato attraverso il rivestimento dei filtri fisici. La tendenza al bioaccumulo è un altro problema dei filtri solari, sia organici che inorganici, dimostrata in diversi organismi marini fra cui le meduse

    Per i filtri particolati di ultima generazione, avendo dimensioni molecolari maggiori, ci si attende un miglior profilo di tossicità. È tuttavia un tema da verificare, non essendo ancora stati studiati in modo approfondito. 


    GLI STUDI EFFETTUATI 

    Data la crescente attenzione rivolta alla tutela e salvaguardia dell’ecosistema marino, la ricerca si sta già muovendo per cercare delle valide alternative ai filtri solari tradizionali. Infatti, prendendo spunto da come la natura si difende dai danni UV, alcune nuove molecole sono in fase di sviluppo preliminare. Un crescente gruppo di ricercatori si sta focalizzando sullo studio di alcune molecole con azione fotoprotettiva presenti in natura, che potrebbero essere un punto di partenza per lo sviluppo di nuovi filtri solari eco compatibili. Alcuni ricercatori stanno cercando di estrarre e stabilizzare alcune nuove molecole da fonti naturali, altri stanno ingegnerizzando lieviti e altri organismi per produrle, altri ancora stanno cercando di sintetizzarle da zero in laboratorio. La strada da percorrere è ancora molto lunga, ma lo studio di queste molecole è sicuramente il primo passo per la creazione di nuove tecnologie più rispettose dell’ambiente.

    Mentre la ricerca avanza, le aziende che vogliono sviluppare prodotti solari più eco compatibili hanno la possibilità di farlo attraverso una scelta accurata degli ingredienti che costituiranno il prodotto finito. Un buon punto di partenza è quello di evitare l’utilizzo dei filtri solari per i quali gli studi scientifici hanno dimostrato con più chiarezza l’impatto ambientale.

    Una classe di molecole molto importanti sono i booster di SPF. Utilizzare questa tipologia di ingredienti permette prima di tutto di utilizzare una minor percentuale di filtro, garantendo inoltre una più omogenea applicazione del prodotto solare sulla pelle. Negli ultimi mesi, molte aziende produttrici di materie prime si sono focalizzate sullo sviluppo di innovative molecole SPF booster di varia derivazione con buon profilo di azione e a basso impatto ambientale.

    Un altro modo diretto ed efficiente per ridurre la dispersione dei prodotti solari nell’ambiente marino è quello di formulare prodotti resistenti o molto resistenti all’acqua. Le textures ultraleggere infatti, sono sicuramente molto piacevoli da applicare, ma hanno inevitabilmente un grado di resistenza all’acqua minore delle emulsioni più ricche e consistenti.

    LA RICERCA E L’INNOVAZIONE FORMULATIVA AVANZANO

    Ora più che mai, si fa sentire la necessità di avere a disposizione linee guida e test specifici da affiancare al formulatore nello sviluppo di prodotti solari eco compatibili. Il punto di partenza è la scelta ed il corretto bilanciamento dei filtri per poter assicurare il giusto grado di protezione ed il minor impatto ambientale, consapevoli del fatto che formulare un prodotto solare a impatto zero ad oggi non è possibile.

    Vista la carenza di test ufficiali e di normative specifiche, c’è il rischio che prenda il via la corsa delle aziende al prodotto più sostenibile per l’ecosistema marino, senza però avere a disposizione gli strumenti per provarlo scientificamente. Uno degli errori più comuni è quello di associare la bassa tossicità acquatica al grado di naturalità o alla biodegradabilità del prodotto, fatto presente in primo luogo, che non esiste ad oggi un test di biodegradabilità su prodotto finito. La naturalità e la biodegradabilità degli ingredienti di un solare non implicano necessariamente che esso non abbia un impatto ambientale. Un composto biodegradabile può essere tossico o pericoloso per l’ambiente e gli ecosistemi naturali sia prima, sia durante, sia dopo il processo di degradazione e la stessa cosa vale per un prodotto certificato biologico o naturale. Dichiarare quindi la percentuale di biodegradabilità sull’etichetta di un prodotto solare, non ci dà informazioni sugli effetti che esso avrà una volta a contatto con l’ambiente marino e i suoi organismi.

    Al posto di focalizzarsi sul singolo claim da dichiarare o bollino da applicare sul prodotto, è importante che le aziende cambino radicalmente direzione verso un approccio sostenibile a tutto tondo. Questo obiettivo può essere raggiunto attraverso specifici strumenti, ovvero gli standard internazionali relativi alla gestione ambientale

    Ci sono delle azioni necessarie per rendere questo nuovo trend emergente il più possibile sostenuto da dati e strumenti scientifici, a partire da studi scientifici più mirati e che analizzino l’impatto ambientale di tutti i filtri solari presenti sul mercato, lo sviluppo di test specifici di impatto ambientale e acquatico su prodotto finito e una regolamentazione specifica sui possibili claims da riportare in etichetta.

    COMUNICAZIONE TRASPARENTE  

    Per concludere, oggi la sostenibilità e il basso impatto sull’ambiente sono aspetti che giocano un ruolo sempre più fondamentale nell’avanzamento della tecnologia e della ricerca scientifica. Considerando i dati di impatto ambientale che alcune molecole hanno nei confronti dei coralli e di altri organismi marini, è necessario avere un approccio proattivo e preventivo. Questo però non può assolutamente far distogliere l’attenzione sull’importanza della protezione solare, una scelta di prevenzione che sta giocando un ruolo importantissimo e fondamentale sulla diminuzione dell’incidenza di cancro cutaneo.  

    La sfida del futuro per il mondo della protezione solare sarà lo sviluppo di prodotti efficaci, sicuri ed eco compatibili per riuscire a lasciare il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato.

    CONCLUSIONI

    ECO-COMPATIBILITA'