Giulio Fezzardini

Mktg & Sales

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Italia

 Gli occhiali: la vita oltre una lente

Ero ragazzo quando un giorno, in auto con mio padre, ho espresso ammirazione per una composizione floreale posta sul lunotto posteriore del veicolo che precedeva.

Pochi giorni dopo ero dall’oculista: non era un bouquet ma un plaid scozzese.

Ed eccomi miope.


“Varda el me duturin!” (Guarda il mio piccolo dottore!), mi ha accolto gioiosa la mamma al mio ingresso in casa da occhialuto.

“Guarda il quattrocchi!”, mi hanno meno caritatevolmente accolto i compagni di classe il giorno dopo.

Non era bullismo: nonostante qualche scherzo innocuo e rissa da pallone, ci volevamo bene.

Sta di fatto che in quel passato lontano il portare gli occhiali, specialmente per un giovane, era visto un difetto di cui non c’era granché da vantarsi.

Va detto che le montature del tempo non incoraggiavano molto l’autostima: pesanti, di materiale plastico, lenti a fondo di bottiglia…

Oggi la montatura nera è il brand di Woody Allen ma, in quegli anni, a meno che tu non fossi stato un intellettuale come Pasolini o un sex symbol come Marcello Mastroianni, l’occhiale un po' ti deprimeva.

Doveva arrivare il ’68. Dallo storico Maggio l’esplosione contagiosa di dibattiti, comizi, assemblee, occupazioni, collettivi, cortei, nobilitava l’oratore con doppia focale di turno dandogli un tono da intellettuale che piaceva alle ragazze.

Erano gli anni del pensiero a briglia sciolta, fatto di letture cervellotiche, angosciosi cineforum con dibattito che avrebbero portato alla tragica ribellione di Fantozzi.

Anche l’occhiale saliva sulla sua Harley Davidson rincorrendo il sogno californiano. Ecco quindi gli occhialini di John Lennon, quelli da sole di Peter Fonda, le stravaganze di Elton John: era iniziato quel processo che avrebbe sganciato l’occhiale dal solo ruolo di correttivo di deficit visivo per portarlo a complemento di vestiario e a vette di creatività e moda reso possibile dai nuovi materiali.


Sulla nascita dell’occhiale qualche tentativo di correzione visiva c’era già stato nella antichità. Uno per tutti lo smeraldo attraverso cui Nerone contemplava la realtà. Con risultati discutibili visto il disastroso esito delle sue osservazioni.

Ma facciamo un salto temporale nel medioevo per dare un’altra spallata al pregiudizio di periodo “dark”.

Nel “Nome della Rosa”, cito il film, il frate/investigatore Sean Connery, nella stanza dei copisti-miniaturisti della famosa biblioteca, estrae un paio di occhiali per esaminare un manoscritto suscitando la curiosità dei frati presenti: siamo nel 1327.

Che sia una invenzione italiana è accertato.

Per molto tempo si è indicata come data di nascita il 1284, inventore Salvino D’Armati.


Si è rivelata una fake news.


C’è innanzitutto un precedente scientifico. Un matematico, astronomo, fisico arabo, Ḥasan Ibn al-Haytham (ca anno 1000), eseguì ricerche sulla percezione visiva che fissò in una pubblicazione, “Libro dell’ottica”. L’opera, tradotta in latino nel 1240, riscontrò l’interesse delle comunità monastiche del tempo portando alla creazione di “pietre” di ingrandimento semisferiche di cristallo e quarzo.

Source: https://www.truth-seeker.info/

Nel 1305 durante un’omelia a Firenze, in Santa Maria Novella, basilica domenicana (abbiamo già citato i domenicani per la storica officina cosmetica nata in quel convento e tutt’ora in florida attività), il frate Giordano da Pisa richiama en passant quello che ritiene l’inventore degli occhiali: il confratello Alessandro della Spina, residente con lui nel convento di Pisa.

I toscani, è noto, sono piuttosto campanilisti e non esitavano a darsele di santa ragione per dirimere le loro controversie di confine. Succede così che il fiorentino Ferdinando Leopoldo del Migliore (1628-1696), nel magnificare il genio dei concittadini, attribuisca al fiorentino Salvino degli Armati l’invenzione.

Asserzione demolita nel 1909 da studi meno partigiani.


Sembra in realtà che il citato Giordano, preso l’abito a Pisa e trasferitosi a Bologna, sede centrale dell’Ordine dei Predicatori dove è sepolto San Domenico, abbia lì conosciuto confratelli veneziani e tra loro proprio l’inventore degli occhiali. Presbite per l’età riesce ad averne un paio e tornato a Pisa frate Alessandro comincia a riprodurli diffondendo i primi occhiali in Toscana. Il resto è storia.

Non deve stupire il fatto che l’occhiale nasca in ambito religioso: ai conventi era demandato lo studio e la conservazione del sapere nelle biblioteche con le fatiche che questo comportava alla vista.


Ma perché proprio Venezia? Risposta: il vetro.


Era evidente che cristalli e pietre preziose non erano proprio il top per economia ed efficacia: ed eccoci quindi a Murano con gli unici, straordinari artigiani che ancora oggi il mondo ci invidia. E che Venezia preservava con gelosia. Non per niente i maestri erano stati localizzati su un’isola che li separava dal mondo. Una fuga di “know how” era punita anche con la morte.

Il frate domenicano responsabile del progetto-lente aveva quindi aperto una breccia inarrestabile. Per fortuna.


Inizia una rivoluzione sociale e tecnologica.

Sociale perché è evidente che il vederci meglio migliora di molto la qualità della vita sia privata che lavorativa: vedo, ergo lavoro.

Tecnologica perché si attiva quel processo virtuoso che (mi perdonino i lettori non italiani) conferma il Bel Paese fucina di eccellenze: infatti il primo sito industriale per la produzione di occhiali è del 1878 a Calalzo di Cadore (Belluno) realizzato da Angelo Frescura.

E oggi?


Complici l’usura di vista da apparecchio elettronico, illuminazione artificiale e dinamiche fisiologiche, oggi più o meno tutti abbiamo un occhiale in tasca: anche chi ha vista da falco dopo qualche ora spesa davanti al PC, sente il bisogno di ricorrere ad un occhiale da riposo.

Occhiali, montature, lenti, lenti a contatto, chirurgia, hanno di gran lunga ridotto i problemi visivi. E oggi un bell’occhiale l’autostima la alza eccome!

Quando vado dal mio ottico di fiducia per il cambio occhiale, mezz’ora è per l’esame, un’ora per la scelta della montatura: una offerta incredibile.

L’ottica quindi, alto artigianato….


Nella sua Antologia di Spoon River, dove un cimitero diventa teatro di vite e passioni, Edgar Lee Maters dedica all’ottico Dippold un epitaffio che nel finale recita: Luce, soltanto luce che trasforma tutto il mondo in giocattolo. Benissimo, faremo gli occhiali così.(Einaudi 1974)

Nel suo “Non al denaro, non all’amore né al cielo”, ispirata interpretazione della Antologia di Masters, Fabrizio De André fa dire a Dippold: “Non più ottico ma costruttore di lenti per improvvisare occhi contenti, perché le pupille abituate a sognare, inventino i mondi sui quali guardare…. “


Chi è miope sa che il primo gesto al risveglio è sempre la presa dell’occhiale sul comodino.

Ringrazio chi mi permette ogni giorno di vedere, inventare, sognare.

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