La riscoperta della “bellezza naturale” ha comportato l’uscita da un concetto dicotomico che ha pervaso le proposte cosmetiche di skin care degli ultimi 20 anni: una dicotomia basata su due schieramenti opposti. Da un lato la cosmetica avanzata con soluzioni tecnologiche qualche volta al limite del farmaceutico (si parlava allora di “cosmeceutici”, in realtà categoria inesistente sul piano reale), dall’altro quella naturale purista (che poi purista fino in fondo non lo è mai stata) volta ad insistere su combinazione naturale di estratti di origine vegetale, rigorosamente senza derivati della petrolchimica, considerata alla stregua di un peccato mortale.


Queste due tendenze opposte hanno interessato tutto il comparto skin care dai trattamenti viso, mercato da sempre trainante per dimensione e diffusione, fino ai solari con la ben nota battaglia tra sostenitori di filtri protettivi fisici e quelli più orientati alla tecnologia avanzata di filtri chimici ad ampio spettro.


Oggi mi pare che si stia delineando una visione diversa, dove lo scopo principale è la salute della pelle dell’ambiente, che si compendia in un approccio potremmo dire “fisiologico” dove la sostenibilità è al servizio della prestazionalità e viceversa. Potremmo cioè dire che la “funzionalità sostenibile” sostituisce schemi dogmatici e visioni preconcette, in nome di prodotti che stabiliscono un rapporto più pragmatico verso le finalità del prodotto e i benefici ad esso associati.

Come mi è capitato più volte di dire, non ha alcuna utilità un pensiero formulativo volto a escludere a priori molecole e sostanze di derivazione petrolchimica se queste sono state studiate e valutate con profili ecotossicologici sicuri e addirittura in taluni casi ben più utili all’ambiente di soluzioni naturali, in taluni casi addirittura maggiormente bioaccumulabili; d’altra parte, alcune tecnologie di derivazione animale (ad esempio alcuni glicosaminoglicani) determinano azioni scientificamente provate di stimolazione della biosintesi di collagene ed elastina, così che sarebbe del tutto inappropriato escluderle dalla composizione finale del formulato. Il principio cardine è lo studio della materia prima, dalla sua origine, al suo impiego e al suo destino post-uso, che risulta del tutto determinante per definire la bontà di un componente o di una composizione cosmetica.


Sul piano funzionale, l’approccio fisiologico si basa sul favorire la biosintesi naturali di quei componenti naturalmente presenti sulla pelle, dai lipidi alle proteine passando attraverso gli oligoelementi e la struttura cellulare stessa degli strati intradermici. Occorre dunque formulare sapientemente andando a determinare attraverso valutazioni in vitro (come, ad esempio, l’espressione genica di alcuni componenti fondamentali quali Collagene IV, elastina e LOXL) e successivamente in vivo, attraverso opportune valutazioni cliniche e strumentali, gli effetti eventualmente benefici del preparato per ottimizzare la prestazionalità sia da un punto di vista tecnico sia estetico (texture e proprietà organolettiche in generale).


Sul piano ambientale, la fisiologia si esplica nel pieno rispetto degli equilibri dell’ecosistema, anche qui attraverso valutazioni rigorose legate ai temi della biodegradabilità e più specificamente dell’ecocompatibilità: come si è detto in qualche occasione lo scorso anno a proposito dei prodotto solari e sottolineato in diversi articoli scientifici in merito a questa particolare categoria merceologica, la protezione della flora e della fauna marina si esplica attraverso gli studi specifici dei sottoprodotti di degradazione delle molecole impiegate nel formulato originale e gli effetti sono del tutto indipendenti dall’origine chimica o fisica, sintetica o naturale delle materie prime in questione.


Vi sono diversi attivi di protezione fisici che possono interferire negativamente con la flora acquatica marina, ben più che altri filtri chimici che biodegradano in maniera più veloce e con composizioni finali ben più sicure riducendosi fino a anidride carbonica e acqua, così come diverse sostanze di origine vegetale possono essere degradate più lentamente di altre aventi un’origine di sintesi e magari vengono scartate per una pura logica di marketing legata all’ “INCI appeal”.


La stratificazione di restrizioni oltre alla legislazione ordinaria, tra fantastorie di marketing, valutazioni esterne assegnate ad APP o riviste di dubbia solidità tecnica, ha portato il formulatore a limitare la scelta degli ingredienti, peggiorando in molteplici contesti l’esito formulativo talora sia per performance sia per texture: per questo l’industria cosmetica è chiamata a responsabilizzarsi non lasciandosi trascinare da fantasiose rivendicazioni commerciali al solo scopo di apparire come specchietti per allodole, ma a guardare ai temi etici di sostenibilità e a quelli di performance in un connubio fatto di serietà, attenta valutazione e reale educazione al consumatore.


Aiutare il corpo a riequilibrare ciò che per età o per molteplici agenti esogeni viene a mancare è la via più corretta per rimanere in simbiosi con la naturalità delle cose, ciò che vale anche per i temi di reale sostenibilità che rappresentano capitoli rilevanti delle sfide della cosmetica futura, improntati a maggiore concretezza e minor sensazionalismo.

 Funzionalità sostenibile:
l’approccio fisiologico nello skin care