Giulio Fezzardini

Mktg & sales

TKS Publisher

Italia

La moka del risveglio:
profumo di caffè, profumo di vita

Ho sempre provato ammirazione e invidia per quelle persone che al primo squillo della sveglia sono già in piedi, iperattive e dopo pochi minuti corrono per le strade sonnacchiose della città con gli auricolari al collo rivedendo mentalmente tutti gli impegni della giornata.

Io faccio parte di quella umanità che quando la luce del mattino filtra dalle persiane e colpisce le ciglia cispose di sonno, si chiede perché sia al mondo e se sia proprio necessario alzarsi.

Nel mio caso a sciogliere il dilemma arriva il profumo del caffè che dalla Moka attraversa la casa, mi penetra le narici, arriva al cervello, vira verso il cuore e da lì si irradia per le membra spingendole all’eroico gesto di mettere i piedi a terra.

In uno sketch della serie televisiva “Signore e Signora” (1970), divertenti immagini di quotidianità matrimoniale, uno stralunato Lando Buzzanca, al risveglio mattutino, in pigiama, declama solenne:

“La mattina la sveglia non fa drin-drin: fa caffè-caffè!”

Sottoscrivo in pieno. Ma aveva ragione?


In un gustosissimo libro, QUESTIONE DI CHIMICA della chimica e scrittrice Mai Thi Nguyen-Kim (ed. Sonzogno 2019) che consiglio vivamente sia a chimici e non chimici (soprattutto quelli per cui “chimica” è sinonimo di “male”), la brillante autrice descrive proprio questo momento e ci spiega perché la nostra tazzina di espresso andrebbe in realtà sorbita un’ora dopo il risveglio:


La scarica mattutina di cortisolo, infatti, è già uno stimolante prodotto dall’organismo. La caffeina, a sua volta, incita il corpo alla produzione di cortisolo. Perfetto, si potrebbe pensare, allora aggiungo al mio livello di cortisolo mattutino una carica di cortisolo da caffè! Il nostro corpo però non funziona così: a lui piace mantenersi in equilibrio. Bisogna tenere conto del fatto che, con il tempo, si abitua a quel “coffee boost”, la spinta dovuta al caffè, regolando al ribasso la produzione di stress mattutino.

Perciò è meglio aspettare che la scarica endogena di cortisolo cali – ci impiega circa un’ora – e solo dopo riattizzarla con un caffè (pag. 21).


Detto questo è indubbio che l’aroma del caffè, specialmente quello del risveglio, ha un potere catartico e risveglia dinamiche ancestrali che fanno la gioia degli scienziati delle fragranze come la memoria olfattiva (la mamma che mi portava la tazzina per convincermi ad alzarmi) che diventa aromaterapia e benessere.


Protagonista assoluto di questo momento magico è lei: la “Moka”, unica indiscussa icona tecnologica italiana.

Tanto indiscussa da essere esposta al Triennale Design Museum di Milano e al Moma di New York.

Quando e come è nata questa invenzione che è entrata nel DNA di ogni italiano?

Alfonso Bialetti, che pensava ad una macchinetta per il caffè in casa, all’inizio degli anni ’30 osserva alcune donne intente al bucato e indaffarate intorno alla “lisciveuse” (la lisciva è una soluzione detergente alcalina): la lisciveuse è una specie di tinozza di metallo con in mezzo un tubo.

Ammollati bucato, acqua e lisciva, posta la lisciveuse sul fuoco, inizia il riscaldamento.
Arrivata ad ebollizione l’acqua e la lisciva mescolate fuoriescono dal tubo distribuendosi uniformemente sul bucato.

Trovato il principio, Bialetti lo applica al suo progetto.

Sceglie l’alluminio per le sue caratteristiche di resistenza e conducibilità del calore e crea un utensile composto da tre elementi: bollitore, filtro, raccoglitore.



Messa sul fuoco la Moka, l’aria calda in pressione spinge l’acqua al filtro, quindi al caffè (si attiva il processo di “liscivazione”, meglio di estrazione liquido/solido), l’acqua bollente trascina con sé caffeina ed aromi ed ecco dopo pochi minuti il famigliare borbottio accompagnato dal fumo profumato che esce dal beccuccio del contenitore per regalarci un momento di estasi.


“Moka” viene dalla città di Mokha nello Yemen, il celebre caffè arabico, mentre per la caratteristica forma dobbiamo ringraziare la signora Bialetti: infatti Alfonso dona alla sua invenzione la silouhette stilizzata della sposa: spalle larghe, vitino, gonna plissettata.

Non sarà l’omaggio più romantico di un amato alla sua amata: sta di fatto che la signora Bialetti da allora è nelle nostre case in una sorta di casalinga eternità.


E l’Omino coi Baffi? Qui siamo nell’epica pubblicitaria!

Il fumettista Paul Campani è amico di Renato Bialetti, figlio di Alfonso, che nel ’46 prende in mano l’azienda. Campani viene coinvolto nel progetto pubblicitario della Moka.

Ebbene, cercate una fotografia di Renato Bialetti: troverete l’Omino coi baffi!

Il nostro omaggio al rito domestico del caffè avrà una seconda puntata che ci porterà a Napoli. Perché se è vero che la Moka Bialetti è una icona tecnologica, la macchinetta “napoletana” è poesia.

“A che bello ‘o caffè!” canta Fabrizio De André in Don Raffaè citando un altro grande collega, Domenico Modugno, che affermava che solo a Napoli sanno fare il caffè.

Vedremo se è così alla prossima tazzina!

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