SOTTOPRODOTTI DELLA FILIERA CEREALICOLA QUALI FONTI DI POLIFENOLI

Secondo i dati forniti dall’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), la produzione mondiale di cereali ha superato nel 2023 i 2800 milioni di tonnellate (1, 2) con grano, mais e riso che rappresentano le principali colture, non solo nel mondo, ma anche in Italia. Tale produzione comporta inevitabilmente una elevata quantità di sottoprodotti che derivano per la gran parte dal processo di lavorazione delle cariossidi e che ad oggi trovano impiego per lo più in zootecnia come mangime per animali. Tuttavia, essendo anche fonte importante di nutrienti e di composti potenzialmente bioattivi (3, 4), è anche possibile attuare politiche di recupero di tutte queste sostanze al fine di completare il riciclo dei sottoprodotti dando loro una “seconda vita” e promuovendo così l’economia circolare. In quest’ambito la ricerca ha investito molte risorse negli ultimi anni.

PERCHÉ DARE UNA “SECONDA VITA” AI SOTTOPRODOTTI DELLA FILIERA CEREALICOLA?

Prendendo in considerazione i sottoprodotti dei tre principali cereali coltivati in Italia, cioè grano, riso e mais, sicuramente le parti più esterne di grano e riso, comunemente indicate come crusca, e il tutolo del mais (che costituisce la parte centrale della pannocchia) sono un’ottima fonte di composti potenzialmente dotati di bioattività, tra cui principalmente i polifenoli (Figura 1).

In genere i polifenoli vengono classificati in acidi fenolici (che includono derivati dell’acido idrossibenzoico e derivati dell’acido idrossicinnamico), flavonoidi e non-flavonoidi. Inoltre, si possono anche trovare polifenoli in forma polimerica quali tannini idrolizzabili e tannini non idrolizzabili. Nei cereali e nei loro sottoprodotti prevalgono gli acidi fenolici e i flavonoidi.

In particolare, nella crusca del frumento si trovano in maggior quantità gli acidi gallico, siringico e vanillico quali derivati dell’acido idrossibenzoico, mentre tra i derivati idrossicinnamici si annoverano gli acidi ferulico, p-cumarico e caffeico con una netta prevalenza dell’acido ferulico che può arrivare a rappresentare anche il 70-90% dei composti fenolici presenti in questo sottoprodotto (5). L’acido ferulico si può trovare sia in forma libera che sotto forma di monoestere e generalmente è legato covalentemente a lignina, polisaccaridi o acidi grassi a lunga catena (6). L’acido p-cumarico, invece, è il principale rappresentante nei sottoprodotti del mais (7); inoltre troviamo gli acidi caffeico, ferulico, sinapico e, caffeoilchinici oltre a vanillico e p-idrossibenzoico. La letteratura indica anche la presenza di flavonoidi nel tutolo quali quercetina, kampferolo, luteolina, miricetina, apigenina e nelle varietà pigmentate troviamo anche antocianine quali cianidina, pelargonidina, peonidina, malvidina e delfinidina, sia libere che legate a flavonoli (8, 9, 10). Per quanto riguarda la lolla di riso, essa contiene principalmente acido p-cumarico a cui si aggiungono acido vanillico, acido chinico, derivati dell’acido caffeico, apigenina differentemente glicosilata, tricina e, nel caso delle varietà pigmentate anche la cianidina diversamente glicosilata e acilata (11, 12).

QUALI POLIFENOLI SI TROVANO NEI SOTTOPRODOTTI DELLA FILIERA CEREALICOLA?

Figura 1. Principali polifenoli presenti nei sottoprodotti della filiera cerealicola


    ADELE PAPETTI

    Associate Professor - Università degli Studi di Pavia | Italia

    Membro del COMITATO SCIENTIFICO di NUTRA HORIZONS

    Bio...

    QUALI SONO OGGI I PRINCIPALI APPROCCI ESTRATTIVI DEI POLIFENOLI UTILIZZATI?

    La frazione polifenolica può essere estratta da questi sottoprodotti utilizzando approcci cosiddetti convenzionali o approcci più innovativi. Tra i primi si annoverano la classica macerazione e l’estrazione solido-liquido, oltre alla classica distillazione. In questi casi si usano come solventi delle miscele acqua-solvente organico, cercando di preferire quale solvente un alcol come metanolo o etanolo. Tuttavia questi approcci hanno degli svantaggi quali spesso basse rese di estrazione ed estratti altamente impuri a fronte di elevati costi dovuti a grandi volumi di solvente usato e tempi lunghi di processo, oltre ad essere poco ecosostenibili nella gran pare dei casi (4, 13). Pertanto, negli ultimi anni sono stati fatti grandi sforzi per sviluppare tecnologie estrattive più efficienti e anche ecosostenibili che consentano di ridurre tempi e costi del processo. Una di queste è l’utilizzo di ultrasuoni che porta ad una riduzione di tempi, energia e consumo di solventi, ma che permette anche di impiegare temperature di lavoro più basse assicurando al tempo stesso elevate rese di estrazione in quanto si evita la potenziale degradazione dei composti più sensibili alla temperatura. Gli effetti fisici degli ultrasuoni inoltre permettono di aumentare l’efficienza del processo di estrazione (13, 14, 15).

    Un altro approccio oggi molto usato è quello che sfrutta le microonde, cioè onde elettromagnetiche generate da un campo magnetico e da un campo elettrico, che oscillano perpendicolarmente tra loro a differente frequenza. Il materiale da estrarre assorbe parte di questa energia elettromagnetica trasformandola in energia termica, cioè calore. In genere si utilizzano solventi polari che, in seguito al riscaldamento prodotto dalle microonde, producono calore all’interno della matrice e favoriscono la rottura delle membrane cellulari della matrice stessa. Sicuramente i principali vantaggi che derivano dall’applicazione di questa tecnologia sono la possibilità di usare solventi “green”, non tossici, di ridurre i costi energetici e i tempi di estrazione e di ridurre drasticamente la degradazione della frazione polifenolica (13, 16).

    Meno utilizzata oggi è l’estrazione con fluidi supercritici che impiega come solvente di estrazione un fluido supercritico, cioè un fluido che è in grado di diffondere attraverso la matrice come un gas e di solubilizzare, quindi estrarre, come un liquido grazie al fatto che è una sostanza a temperatura e pressione vicine al suo punto critico. Variando leggermente pressione e temperatura è possibile variare la densità del fluido supercritico, migliorando così il potere estraente (17). Il fluido supercritico più utilizzato è la CO2 che ha bassi costi e può essere facilmente rimossa. Unico svantaggio, se così si può definire, è la necessità di aggiungere un co-solvente (in genere metanolo o etanolo) quando si devono estrare composti polari quali i polifenoli al fine di aumentarne la solubilità nel fluido supercritico (18).

    Talvolta si rende necessario utilizzare un trattamento di idrolisi enzimatica prima di applicare una delle suddette tecniche estrattive. Infatti, i polifenoli spesso sono legati alla componente polisaccaridica (cellulosa, emicellulosa, ecc..) della parete cellulare attraverso legami idrogeno o interazioni idrofobiche che quindi devono essere rotte per permettere l’estrazione dei composti. Allo scopo si impiegano enzimi quali pectinasi, cellulasi o emicellulasi che, attraverso reazioni di idrolisi, inducono la degradazione della parete cellulare, aumentandone così la successiva permeabilità ai solventi di estrazione. In tal modo l’effetto finale è un aumento delle rese di estrazione (19).

    PRINCIPALI UTILIZZI DELLE FRAZIONI POLIFENOLICHE ESTRATTE DAI SOTTOPRODOTTI CEREALICOLI

    I principali utilizzi noti ad oggi della frazione polifenolica estratta dai sottoprodotti dei cereali sono associati all’utilizzo di altre componenti ottenute dai sottoprodotti che possono essere fermentate nella produzione di bevande fermentate. Infatti, la fermentazione ad opera di enzimi o microorganismi favorisce la proteolisi e la conversione degli amminoacidi oltre che l’acidificazione cosicché si possano ottenere prodotti veicolo di nutrienti e composti bioattivi come i polifenoli. Queste bevande funzionali si stanno diffondendo sempre più in quanto il loro alto contenuto in fibra aiuta a controllare l’indice glicemico rallentando la digestione e l’assorbimento degli zuccheri e la componente polifenolica contribuisce a ridurre lo stress ossidativo (20).

    Un altro impiego noto è quello di ingrediente in integratori alimentari o anche in prodotti cosmetici. Infatti, la frazione polifenolica presenta ben note bioattività, in primis quella antiossidante che contribuisce alla riduzione dello stress ossidativo alla base di tutte le patologie cronico-degenerative. A tale frazione si attribuisce anche attività antiinfiammatoria, antidiabetica, capacità di agire con differenti meccanismi sul ciclo vitale delle cellule cancerose, nonché azione antimicrobica (2, 21).

    Negli ultimi anni il mondo della ricerca si è sempre più focalizzato sul recupero di composti polifenolici dai sottoprodotti cerealicoli sviluppando tecniche estrattive atte a ridurre al minimo i costi di gestione e l’impatto ambientale e, al tempo stesso, atte ad aumentare la resa di estrazione. I principali utilizzi che ne vengono fatti sono come ingredienti per integratori alimentari, alimenti funzionali o prodotti cosmetici. Non dobbiamo però dimenticare che non è sufficiente aver ottimizzato l’estrazione, caratterizzato l’estratto, valutato la non tossicità e la stabilità, oltre che averne testato le proprietà biologiche, ma occorre anche considerare sempre la bioaccessibilità dei composti perché questi una volta assunti possano effettivamente esplicare un effetto biologico. Un estratto, anche se estremamente ricco di polifenoli, se non bioaccessibile non porterà mai ad alcun effetto!

    …IN CONCLUSIONE

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