Giulio Fezzardini

Redazione BH Italia

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Italia

Il mio pigiama? Chanel 5 

Niente panico! Non sono io.  


Per i pochi che la ignorano, la celebre citazione è della iconica Marylin Monroe che in una intervista richiamava con questa frase un profumo altrettanto iconico come Chanel 5. 


Recentemente ho visto una fiction dedicata a Coco Chanel. Pur con i limiti di un film ne emerge una donna eccezionale e rivoluzionaria. 

Una rivoluzione, sociale o culturale, è tale quando crea una rottura con il passato: dopo Mozart, i Beatles, Charlie Parker non si compone più come prima. 

In un bellissimo documentario dedicato alla Parigi delle Belle Epoque (serie ULISSE-RAI: un doveroso omaggio a quegli straordinari divulgatori che sono Piero e Alberto Angela), il motore del cambiamento francese (e quindi mondiale, vista la centralità storica di Parigi nel progresso culturale), è focalizzato su arti figurative e architettura: bella la scena in cui Monet, Renoir, Degas, seduti al cafè commentano “Oggi siamo noi la tradizione …”, anni dopo essere stati sbeffeggiati, insultati e derisi alle loro prime apparizioni:  il termine “Impressionista” coniato per loro era tutt’altro che benevolo nelle intenzioni. 


Coco è stata “la” Mozart della moda? Non posso dirlo con l’autorevolezza di uno specialista di moda. Ma che sia stata rivoluzionaria è fuor di dubbio.   

Quale è stata la sua grande intuizione? Liberare la donna. Al grande stilista Paul Poiret, anche lui rivoluzionario nel suo genere fine Belle Epoque, sontuoso ed esclusivo, suo antagonista storico, che le diceva che lui vestiva le donne, Coco replicava che solo una donna sa di che cosa ha veramente bisogno una donna. 


Complice anche una situazione di guerra con tutte le sue pesantezze e restrizioni, Coco aiuta il “femminile” ad emanciparsi da schemi che lo volevano limitato in una prigionia sociale e culturale: indossare un maglione da pescatore o pantaloni da stalliere, sono stati, per la donna,  un grido di libertà. E adottare tessuti e forme che la vestissero e non imprigionarla, è stato un movimento di libertà.  

Certamente il cammino della emancipazione femminile non si è esaurito in quel gesto ed è sempre “in progress”. Purtroppo. La realtà ancora oggi ci dice con la crudezza della cronaca che la donna subisce sempre violenza e fatica il triplo di un uomo ad affermarsi per quello che vale. Parentesi (amara): io sono personalmente convinto che se ci fossero più donne ad affacciarsi da luoghi come Cremlino o Casa Bianca, non ci troveremmo dove ci troviamo oggi. 


Ma torniamo a Coco: rivoluzione nella rivoluzione, Chanel 5 è il profumo che diventa vestito. Infatti di un profumo si dice che deve essere indossato. Intuizione nella intuizione il profumo ci deve accompagnare durante tutta la giornata: ci deve sostenere, regalare benessere possibilmente durante tutte le nostre ore, specialmente le più faticose: un profumo è compagno, confidente, complice, rifugio. 

Ogni tanto, nella mia toilette mattutina, oso e pesco da un cassetto i campioncini che mi vengono regalati a Pitti Fragranze, Esxsence. E sempre resto stupito dalla sottile permanenza di profumi, che, messi di mattina, con cautela, sui polsi o appena sotto l’orecchio, mi accompagnano fino al momento in cui spengo la luce per dormire. 

Come è nato Chanel 5? 

Bisogna, per onor di verità, ricordare che il già citato Paul Poiret è stato l’antesignano degli stilisti che hanno voluto un loro profumo, tanto da essere citato anche come “sarto-profumiere”. 

Che Coco abbia seguito un concorrente o una sua ispirazione non si sa e poco importa. 

Di fatto è stata madre di una leggenda. Mentre il padre è stato il chimico cui Coco ha affidato il progetto: Ernest Beaux. 

Ernest nasce a Mosca nel 1881 da padre francese, Edouard, profumiere che lavora molto per l’aristocrazia russa del tempo. Nel primo dopoguerra  l’incontro di Ernest a Cannes con Coco. Per sostenere la permanenza del profumo sulla pelle il chimico perfeziona l’impiego di aldeidi che ne potenziano la percezione olfattiva.  

Essenze naturali di grande qualità (Rosa e Gelsomino) con una generosa presenza di aldeidi (un composto sintetico odoroso di arancia), danno vita, nel 1921, a qualcosa di totalmente inedito, una innovazione che farà scuola e storia: un profumo, intenso, sontuoso, aristocratico, ed esclusivo. Insieme agli abiti Chanel, Nr 5 diventa uno status  symbol di alta classe. 

Un passaggio importante per la successiva diffusione del brand: I militari americani in suolo europeo nell’immediato dopoguerra acquistano Chanel 5 a prezzo speciale per le truppe, facendone oggetto di souvenir per le proprie partners, cosa che ha contribuito a diffonderlo tra classi più popolari.  


E questo ci porta ad un’ulteriore considerazione nella produzione del profumo: l’industrializzazione. Se nel passato il profumo era prodotto di artigiani e botteghe come ricorda il celebre “Profumo” di Suskind, si apre anche per questo ambito la dinamica della industrializzazione con tutte le sue implicazioni, commerciali e sociali. 

Chanel 5 entra quindi in un immaginario collettivo fatto di grandi numeri dove la distribuzione diventa fattore determinante di mercato. 

Non è un caso che Andy Warhol, principe della Pop Art, come ha fatto per le celebri lattine Campbell, fissi sulla tela Chanel 5 nella sua altrettanto iconica confezione.  


Stiamo vivendo un momento oscuro. Mi ha molto colpito il fatto che la rivoluzione Chanel sia nata in uno dei periodi più oscuri della nostra storia. Storia che, come purtroppo vediamo, tende a replicarsi nelle sue dinamiche più tragiche. 

Al tempo stesso, con tutti i distingui del caso, il lascito di Coco Chanel resta sempre come messaggio di bellezza e profumo di vita. 

Perché alla fine è sempre la bellezza che salva il mondo. 


Un sentito ringraziamento a Edoardo Matassi, Amministratore Delegato di Expressions Parfumées Italia, per il prezioso contributo nella preparazione dell’articolo.

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