MICROBIOTA E
ALIMENTI FERMENTATI: CONOSCIAMO IL KEFIR 

Secondo la tradizione, fu il profeta Maometto a ricevere direttamente da Allah i grani di kefir per diffonderli nelle regioni del Caucaso - e da lì in tutto il mondo. Nella Bibbia, d’altro canto, si narra di un prodotto molto simile al kefir, denominato “manna”, che sarebbe stato donato da Dio agli Israeliti, guidati da Mosè attraverso il deserto verso la terra promessa (Esodo, 16) (1). Tutte testimonianze che fanno pensare a un’origine molto antica di questo alimento, così come di altri cibi fermentati – e non stupisce, se pensiamo che in epoche passate, quando non si aveva a disposizione il frigorifero né si conoscevano tecniche quali la pastorizzazione o l’uso di conservanti alimentari, la fermentazione era un dei pochi metodi per conservare cibi che altrimenti sarebbero deperiti (​​​​​​​2). 


Se ci avviciniamo un po’ a noi, dal punto di vista geografico, scopriamo con una punta di orgoglio che anche in Italia abbiamo un prodotto fermentato tradizionale, di origine antiche: si tratta del gioddu, un prodotto sardo molto simile al kefir (contiene Lactobacillus kefiri, uno dei batteri caratteristici del cugino caucasico), ottenuto per fermentazione del latte di capra o di pecora. Purtroppo (o per fortuna) il gioddu non è reperibile tramite la grande distribuzione: per gustarlo bisogna recarsi direttamente presso i produttori sardi (3). 


Indipendentemente dalle origini – e dalle differenze nella composizione dei microorganismi – quello che sappiamo ad oggi è che gli alimenti fermentati possiedono caratteristiche che li rendono a tutti gli effetti dei functional food, ossia cibi che oltre al potere nutritivo sono in grado di apportare benefici alla salute umana, a partire dall’impatto estremamente positivo sul microbiota intestinale (4). 


    KEFIR: LA MANNA DAL CIELO?

    Elie Metchnikoff (1865-1916), scienziato ucraino vincitore del premio Nobel per le sue scoperte in campo immunologico (scoprì il meccanismo della fagocitosi da parte dei macrofagi), già nel 1908 teorizzava nel suo “The Prolongation of Life – Optimistic studies” (5) come gli alimenti fermentati potessero portare benefici per l’essere umano, sia in termini di salute che di longevità, grazie alla loro azione sul microbiota intestinale. 


    In particolare, secondo Metchnikoff alcuni tipi di batteri erano in grado di accelerare il declino cognitivo e della salute in generale, con l’avanzare dell’età, tramite la produzione di tossine e la conseguente alterazione dell’ambiente intestinale.  Le tossine responsabili del disequilibrio erano prodotte da batteri proteolitici, che generavano fenoli, ammoniaca e indoli a seguito della digestione delle proteine alimentari. Ebbene, Metchnikoff osservò come l’attività di un bacillo isolato nel latte acido, che egli chiamò Lactobacillus bulgaricus, inibisse la crescita degli enzimi proteolitici e dunque prevenisse i fenomeni di putrefazione intestinale dovuti all’azione di questi ultimi. 

    Il nome bulgaricus fu scelto dallo scienziato in onore degli abitanti della Bulgaria, noti all’epoca per la loro longevità e – guarda caso – grandi consumatori di latte fermentato con batteri lattici.  

    Fu probabilmente questa scoperta a far guadagnare allo scienziato il soprannome di “padre dei probiotici”: che sia verità o leggenda, sta di fatto che quel momento segnò un cambio di rotta nell’atteggiamento comune, che ancora considerava tutti i microorganismi, senza distinzione, come dannosi per la salute umana (6,7).  

    Da allora la scienza ha fatto costanti passi nella conoscenza dei meccanismi che regolano l’attività del microbiota intestinale, il suo impatto sulla salute, l’individuazione di vie di comunicazione un tempo insospettabili, come l’ormai noto asse microbiota-intestino-cervello (8). 


    Questa popolazione di microorganismi, così fondamentale e così delicata, deve essere adeguatamente nutrita, affinchè sia mantenuto l'equilibrio tra i cosiddetti “batteri buoni” e quelli potenzialmente dannosi (che, ricordiamolo, non sono eradicabili, ma risultano innocui in un microbiota ben equilibrato) – e sia preservata di conseguenza la salute dell’ospite. Oggi sappiamo che il microbiota si nutre di fibre (9,10): dunque un’alimentazione ricca di frutta, verdura, legumi e cereali integrali rappresenta il modo migliore per coltivare un microbiota (e un corpo!) sano. 


    Attraverso il cibo, però, abbiamo anche la possibilità di introdurre ceppi di probiotici che una volta raggiunto l’ambiente intestinale siano in grado di colonizzarlo, contribuendo a mantenere alta la quota di microorganismi favorevoli – esattamente come quando si assumono probiotici sotto forma di integratori per riequilibrare un microbiota alterato, a seguito, per esempio, di un uso prolungato di antibiotici. 


    Dal punto di vista alimentare, la miglior fonte di probiotici è rappresentata proprio dai cibi fermentati (11,12): tra essi, oltre al kefir, ricordiamo il tempeh (che deriva dalla fermentazione dei semi di soia), i crauti (dalla fermentazione del cavolo cappuccio) e il tè kombucha (dalla fermentazione del tè nero), tutti facilmente reperibili anche nella grande distribuzione. 

    MICROBIOTA E ALIMENTI FERMENTATI: UNA STORIA AFFASCINANTE INIZIATA UN SECOLO FA

    SONJA BELLOMI

    Fondazione ITS Biotecnologie e Nuove Scienze della Vita Piemonte | Italia

    Bio...

    KEFIR: LA COMPOSIZIONE ED EFFETTI SUL MICROBIOTA INTESTINALE

    Il consumo di kefir è stato frequentemente associato a un’ampia gamma di benefici per la salute umana, tra cui il controllo del colesterolo, l’inibizione dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE, coinvolto nella regolazione della pressione sanguigna), il sostegno della funzione immunitaria, l’azione antibatterica, l’inibizione dello sviluppo tumorale (13, 14). Molti di questi effetti sono frutto di studi in vitro o su modelli animali: occorrono ancora, pertanto, robuste prove cliniche sulle potenzialità di un consumo regolare di kefir e sulle sue eventuali proprietà terapeutiche, ma la lunga tradizione di consumo e la caratterizzazione dei nutrienti in esso contenuti lo rendono in ogni caso un alimento sicuro e nutrizionalmente valido. 


    Oltre alla ricchezza in probiotici, il kefir contiene proteine, una minima quantità di vitamine D, B12 e B2 e diversi minerali tra cui Calcio, Fosforo, Potassio e Magnesio; il contenuto di grassi e carboidrati varia a seconda del tipo di latte utilizzato. La percentuale di lattosio è estremamente bassa – il che rende il kefir adatto anche a chi soffre di intolleranza al lattosio. 


    Per essere prodotto, il kefir richiede l’aggiunta di “grani di kefir” (ottenuti a loro volta dalla fermentazione di proteine e polisaccaridi in presenza di opportuni funghi e batteri) e un’abbondante quantità di lieviti; tradizionalmente lo si ottiene per fermentazione del latte animale, ma il prodotto si può ottenere anche con grani di kefir in acqua o con l’utilizzo di latti vegetali (4). 


    Per quanto riguarda la composizione in probiotici, i batteri maggiormente rappresentati nel kefir risultano essere Lactococcus lactis subsp. lactis, Streptococcus thermophilus, Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus, Lactobacillus helveticus, Lactobacillus casei subsp. pseudoplantarum, Lactobacillus kefiri, Lactobacillus kefir e Lactobacillus brevis; tra i lieviti invece troviamo Saccharomyces (S. cerevisiae e S. unisporus), Kluyveromyces (K. marxianus e K. lactis) e Candida (C. holmii e C. kefyr).  

    Risulta palese, dunque, la differenza con un altro alimento, lo yogurt, al quale il kefir viene spesso assimilato, ma che, pur derivando dalla fermentazione del latte, risulta molto diverso dal punto di vista nutrizionale: lo yogurt, infatti, contiene solo due batteri, il Lactobacillus Bulgaricus e lo Streptococcus Termophilus, responsabili della fermentazione del latte ma inadatti a resistere all’ambiente acido gastrico e dunque incapaci di arrivare intatti all’intestino tenue.   


    I microorganismi benefici contenuti nei cibi fermentati, invece, sono in grado di raggiungere intatti l’ambiente intestinale e di colonizzare il microbiota, agendo positivamente sulla sua composizione, con impatto positivo su una serie di funzioni essenziali per il benessere dell’organismo: tra esse, il controllo della permeabilità intestinale, il rafforzamento della funzione di barriera, l’attivazione di enzimi digestivi, la produzione di acidi grassi a corta catena (SCFA), la produzione di vitamine (15). 

    IL KEFIR E L'ASSE MICROBIOTA-INTESTINO-CERVELLO

    La comunicazione tra intestino e cervello avviene attraverso numerose vie: quella diretta mediata dal nervo vago e quelle indirette mediate da neurotrasmettitori, ormoni e altre sostanze bioattive prodotte a livello del microbiota intestinale e in grado di oltrepassare la barriera ematoencefalica, raggiungendo il sistema nervoso centrale. 


    Le ricerche più recenti sullo sviluppo e la progressione delle malattie degenerative e dei disturbi dell’umore hanno identificato possibili responsabilità da parte di un microbiota intestinale in squilibrio (16,17): la disbiosi intestinale protratta nel tempo potrebbe essere causa di un’alterazione dei segnali sopra descritti e coinvolta nella produzione e accumulo di metaboliti ad azione ossidante o pro-infiammatoria – ed è noto quanto ossidazione e infiammazione siano correlate a una serie di patologie croniche degenerative, comprese quelle a carico del sistema nervoso centrale, tra cui Alzheimer, Parkinson, sclerosi laterale amiotrofica, disturbi dello spettro autistico, ansia e depressione (18,19,20,21,22). 


    In esperimenti condotti in vitro e in vivo, il kefir ha mostrato interessanti proprietà antiossidanti, tra cui la capacità di bloccare la propagazione dei radicali superossido e la perossidazione dell’acido linoleico. Inoltre, secondo uno studio condotto in vitro e in vivo, 50 g di kefir sarebbero in grado di produrre un’azione antiossidante paragonabile a quella ottenuta con 300mg di acido ascorbico (1). 

    Il potenziale effetto antiossidante, insieme a quello antinfiammatorio, rendono il kefir un buon candidato nel trattamento delle alterazioni del microbiota intestinale, che spesso accompagnano le malattie neurodegenerative, del neurosviluppo e del comportamento (23) - e che potrebbero costituirne una concausa (su NutraHorizon l’argomento è stato affrontato in precedenza qui e qui). 


    A tale proposito non mancano le evidenze scientifiche. Il kefir si è mostrato in grado, in esperimenti condotti su animali, di aumentare la produzione di GABA, il neurotrasmettitore coinvolto nel controllo dell’ansia, grazie all’aumentata proliferazione intestinale del Lactobacillus reuteri – a suggerire una potenziale applicazione di kefir e probiotici come coadiuvanti nel trattamento dei disturbi dell’umore (24). 


    In uno studio pubblicato nel 2020 (25) condotto su pazienti con diagnosi di Alzheimer e in terapia con cure convenzionali, i ricercatori hanno valutato l’effetto della somministrazione di kefir (2mL/Kg), per 90 giorni, sulle performance cognitive e sulla progressione della malattia. Al termine del test, è stato riscontrato un miglioramento significativo di tutti i parametri cognitivi misurati (memoria, linguaggio, orientamento spaziale, abilità manuali, attenzione), nonché sul livello di ossidazione e di infiammazione sistemiche. 

    Lo studio è stato effettuato senza gruppo di controllo e su un numero limitato di pazienti, ma i risultati sono senza dubbio degni di attenzione e di approfondimento. Peraltro tali risultati confermano quanto emerso in altri studi analoghi, che hanno ottenuto esiti positivi sul miglioramento dei sintomi di pazienti malati di Alzheimer o di altre patologie neurodegenerative, grazie al trattamento con specifici ceppi probiotici (26,27,28). 

    A partire dagli studi di Metchnikoff, ci è voluto quasi un secolo per riconoscere ufficialmente come i probiotici possano effettivamente ed efficacemente influenzare non solo l’immunità umana ma anche le funzioni del Sistema Nervoso Centrale, attraverso l’asse microbiota-intestino-cervello. Ciononostante, gli studi condotti sulla popolazione anziana – e in particolare su individui affetti da patologie neurodegenerative – sono ancora estremamente limitati.  


    Considerati gli effetti benefici ad oggi dimostrati dal consumo abituale di kefir (e dei cibi fermentati) sulla salute dell’intero organismo, sarebbe davvero auspicabile l’allestimento di studi più ampi, con gruppi di controllo e di durata maggiore rispetto a quelli finora disponibili. Si tratta peraltro di un alimento facilmente reperibile e - non meno importante - estremamente economico (spesso ottenibile anche in autoproduzione, con la giusta manualità). 


    La comprensione dei meccanismi attraverso i quali il kefir può modulare il microbiota intestinale e contrastare fenomeni potenzialmente pericolosi, come infiammazione e ossidazione, rappresenterebbe un importante passo avanti nell’approccio integrato che vede la sinergia tra alimentazione, stile di vita e terapia farmacologica come un potente strumento per il mantenimento della salute e il rallentamento della progressione di malattie ancora oggi difficilmente guaribili.  

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