TECNOLOGIE ANTIMICROBICHE IN MATERIALI DI NUOVA GENERAZIONE

(2a PARTE)

LA VOCE FUORI CAMPO

INTRODUZIONE

Abbiamo già affrontato, nella prima parte di questo articolo, numerosi aspetti relativi alle tecnologie antimicrobiche in materiali di nuova generazione.

Ma vi sono ancora innumerevoli aspetti da investigare:


ANTIMICROBIAL SURFACES

Quando si pensa a superfici o materiali attivi, il vissuto quotidiano richiama alla mente soprattutto alcune specie metalliche. Ad esempio, numerosi sono i dati disponibili che dimostrano l’efficacia dell’argento e del rame nei confronti di svariate classi di microorganismi e virus.  

Tali elementi, in forma propriamente di metallo o come sali, trovano già numerose applicazioni in manufatti con proprietà antibatteriche, fra i quali packaging innovativi, oggetti ad uso personale, dispositivi medici, impianti protesici e odontoiatrici.  

Diverse sono le testimonianze che riportano come già gli antichi sfruttassero le proprietà di questi materiali. Il più antico uso medico del rame è menzionato nello Smith Papyrus, uno dei libri più antichi conosciuti. Questo testo egizio, scritto fra il 2600 ed il 2200 A.C. ne descrive, fra le altre, l’applicazione nella sterilizzazione dell’acqua. Anche Greci, Romani, Aztechi e altri usavano il rame o composti di rame per il trattamento di disturbi come mal di testa, ustioni, vermi intestinali e infezioni alle orecchie e per l'igiene in generale (1).  

L’utilizzo di contenitori in argento per il mantenimento di acqua e bevande per lunghi periodi era una pratica comune nelle civiltà antiche e, nel corso dei secoli, la consapevolezza empirica che tale pratica potesse limitare la putrefazione degli alimenti ha probabilmente contribuito all’abitudine di utilizzare piatti, posate e manufatti in argento fra le famiglie più abbienti. Analogamente, nell’era delle grandi esplorazioni e della conquista di nuovi territori, come l’Australia ed il “selvaggio West” americano, coloni e pionieri adottarono un’abitudine simile, inserendo stoviglie o monete d’argento nei barili dell’acqua o del latte per evitarne il deterioramento (1). 

Attrezzatura medica in argento (1874-75), Accession Number: 1973.176.17, Metropolitan Museum of Art – London.

Specillo in bronzo appartenente a set chirurgico romano (I-II secolo d.C), Accession Number: 17.230.096, Metropolitan Museum of Art – London.

Ma quali sono quindi le nuove frontiere nell’applicazione? 

Nonostante non sia ancora noto il loro esatto meccanismo d’azione, l’innovazione tecnologica si sta sempre più spingendo nell’uso di nanoforme addizionate soprattutto a materiali polimerici di diversa tipologia. 

Tornando ai due metalli già portati ad esempio, l’argento in forma nanometrica (AgNPs) risulta un eccellente agente antimicrobico attivo ad ampio spettro. Nell’ambito batterico, è stata dimostrata l’efficacia nei confronti sia dei Gram-negativi che dei Gram-positivi, compresi ceppi multirestistenti. L’attenzione verso AgNPs è dimostrata anche dalla forte domanda d’acquisto e dagli investimenti nella ricerca correla. Si stima infatti che negli ultimi anni (dati 2021 relativi ai 15 anni precedenti) la produzione abbia superato le 500 tonnellate di nanoparticelle all’anno per soddisfare le richieste delle diverse industrie (2).  

Analogamente, diversi studi attestano la funzionalità del rame in forma nanometrica (CuNPs), di forte interesse anche grazie ai costi di approvvigionamento più contenuti rispetto a quelli dell’argento. 

Nella formulazione di materiali con effetto antimicrobico, innumerevoli solo le alternative – organiche o inorganiche - che possono essere esplorate, con molteplici modalità di azione e tipologie di sostanze in grado di impartire l’azione desiderata. 

QUALI POSSONO ESSERE I PRINCIPALI MECCANISMI DELLE ANTIMICROBIAL SURFACES?

Questi possono essere suddivisi in tre macro-tipologie principali: 

  • Antimicrobial surfaces per contatto 
  • Antimicrobial surfaces per rilascio 
  • Antimicrobial surfaces per attivazione (soprattutto fotoattivazione) 

Come suggerito sia dalle specifiche diciture che dalle immagini, il sistema attivo può agire sia in quanto inglobato nel supporto e disponibile sullo strato superficiale, sia per lento e progressivo rilascio di forme in grado, secondo diverse modalità, di espletare il loro effetto. 

Interessante è anche l’applicazione di soluzioni che mostrano la propria attività a seguito di opportuna attivazione. È questo il caso di compositi a base, ad esempio, di titanio biossido (TiO2) o di zinco ossido (ZnO). Entrambi, quando attivati da luce ultravioletta, esercitano la loro efficacia grazie ad un sistema sinergico di azioni. Per quanto, anche per questa modalità, l’esatto meccanismo di funzionamento non sia ancora strettamente condiviso dal mondo scientifico, si ritiene che l’azione sia correlata alla formazione di specie ossigeno reattive (3, 4). 

I diversi sistemi sopra illustrati, sia nell’ambito antiadesivo che antimicrobico in senso stretto, possono coesistere all’interno della struttura sviluppata. Per citare un interessante esempio di funzionamento congiunto, trovano applicazione architetture costituite da uno strato esterno in poliidrossietilmetacrilato (PHEMA) e uno strato interno anionico caricato con peptide antimicrobico cationico tramite attrazione elettrostatica. Lo strato esterno inibisce l’adesione iniziale dei batteri in condizioni di pH neutro. Nel caso in cui vi sia comunque una successiva adesione e proliferazione, l’acidificazione indotta dai batteri andrebbe ad innescare il peptide antimicrobico che eserciterebbe azione attiva (5). 


FATTORI DA PRENDERE IN CONSIDERAZIONE NELLA SCELTA

Nello sviluppo di un materiale o di un manufatto con effetto antimicrobico, numerosi sono i fattori che devono essere tenuti in primaria considerazione. Fra questi: 

  • Destinazione e modalità d’uso 

  • Quadro normativo applicabile  

  • Effetti secondari connessi all’uso del sistema antimicrobico 

Sicuramente il punto con più sfaccettature è quello relativo alla destinazione ed alla modalità d’uso.  

Fra le variabili connesse vi è, ad esempio, il tempo di vita stimato del prodotto e le sollecitazioni a cui andrà incontro. Inoltre, devono essere considerate le condizioni termiche di conservazione, se il manufatto sarà soggetto a lavaggio periodico o se potrà facilmente essere sottoposto ad accumulo di particolato o materiale estraneo. 

Fondamentale è anche il monitoraggio della possibilità d’uso di tecnologie e/o additivi in funzione della specifica regolamentazione di riferimento, la quale può variare in funzione dell’ambito di applicazione e del mercato di destinazione. 

Non devono essere inoltre trascurati eventuali effetti secondari connessi alle specifiche soluzioni e/o additivi di cui sopra. Possono infatti intervenire modificazioni delle proprietà meccaniche, termiche o di permeabilità dei materiali di base. Fra gli esempi da letteratura (6) si cita infatti come complessi a base potassio sorbato e nisina in matrice chitosano possano ridurre la resistenza ed aumentare la flessibilità di alcuni polimeri in packaging attivi. Analogamente, l’impiego di olio essenziale di aglio (Allium sativum) attivo rispetto a batteri legati alla carne bovina sembra comporti variazioni nella cristallinità del polimero additivato. 

COME MISURARE LA REALE EFFICACIA?

Per verificare e misurare l’effettiva efficacia antimicrobica dei diversi materiali possono essere condotti test analitici specifici. A supporto sono disponibili diverse norme tecniche che sfruttano l’utilizzo di inoculi controllati di ceppi di interesse, monitorando gli effetti su questi dopo un certo periodo in date condizioni. 

Riportando, a titolo di esempio, quanto previsto dalla norma tecnica ISO 22196 “measurement of antibacterial activity on plastic and other non-porous surfaces” si va a confrontare l’efficacia di un materiale additivato o comunque formulato per conferire attività antibatterica rispetto a un supporto con analoghe caratteristiche di base ma senza effetto attivo. 

I ceppi batterici sfruttati dalla norma sono specifici Staphylococcus aureous (Gram positivo) ed Escherichia coli (Gram negativo), tuttavia con la possibilità di utilizzare altri organismi in funzione dello scopo dello studio. Come illustrato nella schematizzazione, l’iter prevede di inoculare un quantitativo noto di batteri su provini piatti e di dimensioni standardizzate sia del campione in esame che del materiale di riferimento preventivamente sterilizzati. Dopo mantenimento per 24 ore alla temperatura di 35°C e ad una umidità relativa non inferiore al 90%, si verifica il quantitativo il tenore residuo dei batteri di interesse. 

L’esito per ciascun ceppo viene formulato come attività antibatterica espressa dall’indice R, calcolato in funzione della differenza di comportamento fra materiale in esame e materiale di confronto.

Step analitici principali previsti dalla norma tecnica ISO 22196

La norma tecnica ISO 22196 non fornisce dei criteri di giudizio o di accettabilità; può venire in supporto la Japan Industrial Standard JIS Z 2801, equivalente alla ISO 22196 in termini tecnici, che specifica che un risultato R ≥ 2 rappresenta una effettiva efficacia antibatterica.  

Ulteriori norme tecniche sono disponibili per la valutazione dell’efficacia nei confronti di muffe, virus, batteri e microorganismi in genere su diverse tipologie di materiali e in funzione delle peculiarità della tecnologia applicata.  

Spesso, tuttavia, risulta necessaria l’applicazione di protocolli di studio valutati in maniera specifica, introducendo variabili che possono influenzare o compromettere l’efficacia, ad esempio:  

  • Tempo di contatto e cinetica 
  • Degrado dello strato superficiale 
  • Microorganismi di interesse 
  • Modalità d’uso e possibile tendenza all’accumulo di agenti schermanti e/o biofilm 
  • Condizioni ambientali di applicazione 

Spesso quindi, soprattutto in fase formulativa, si vanno a prendere in considerazione i diversi fattori influenti, ad esempio integrando microorganismi di diversa tipologia o verificando l’efficacia a diverse tempistiche e condizioni ambientali. 

Per l’efficacia antibatterica, oltre a Staphylococcus aureous ed Escherichia coli, spesso si utilizzano anche Pseudomonas aeruginosa e Bacillus subtilis, per la verifica antimuffa spesso si sfruttano inoculi di Aspergillus niger e Cladosporium cladosporioides. Nell’ambito antivirale l’applicazione più frequente prevede Influenza A virus (H3N2), Feline calicivirus e Human coronavirus NL63. Elevatissima è tuttavia la variabilità che può essere introdotta per soddisfare al meglio le specifiche di studio. 

Riferimenti bibliografici

MICHELA GALLO

LabAnalysis Group | Italia

Bio...

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