COCOMERO:
COSÌ È (SE VI PARE)*
Un adagio rabbinico afferma che vale più un grano di pepe che un cesto di cocomeri, mentre in un clima caldo e siccitoso vale più un succulento cocomero di mille grani di pepe. È attraverso una lunghissima storia di selezione naturale che i cocomeri selvatici si sono evoluti raccogliendo con i peli delle loro foglie (da qui la denominazione di Citrullus lanatus) la scarsa acqua e l’umidità notturna per concentrarla in un frutto che era anche all’interno di colore verde pallido, succoso e con un gusto acidulo o amaro, simile a quello degli odierni cetrioli.
Contenendo molta acqua, preziosa nei climi caldi e siccitosi, i frutti sono mangiati dagli animali e dagli uomini permettendo così la diffusione dei semi e da qui il successo evolutivo del cocomero. Per quanto ne sappiano solo all’inizio della nostra era compaiono varietà dolci del cocomero, quando in scritti in ebraico della fine del Secondo Secolo e poi in testi latini del Sesto Secolo, questo frutto è associato a frutti dolci tra cui melograni, fichi e uva, iniziando una strada verso il succoso, dolce moderno cocomero.
Un frutto che in Italia ha denominazioni di anguria, cetrone, cocomero, mel(l)one d'acqua, pateca, sandia, sarginesco, zipangolo che documentano introduzioni diverse e chiariscono le numerose varianti dell’odierno frutto che ha una polpa rossa costituita per oltre il novanta per cento di acqua, un discreto quantitativo di zuccheri soprattutto fruttosio, vitamine A, C, B e B6 e particolari aminoacidi tra i quali la levocitrullina.
Originari della calda Africa, fin dai tempi antichi i cocomeri sono stati prima raccolti e poi coltivati per il loro contenuto di acqua pulita e usati dall’uomo per dissetarsi durante la stagione secca e come alimento. Non sappiamo dove e quando questo sia avvenuto, ma il primo raccolto è documentato in alcuni geroglifici dell'Antico Egitto circa cinquemila anni fa, quando il frutto è deposto nelle tombe dei faraoni come mezzo di sostentamento e di bevanda per l'aldilà, mentre la mitologia egizia narra che il cocomero ha origine dal seme di Seth, dio identificato con la sabbia rossa del deserto.
Questo frutto di Seth è utilizzato anche dalla medicina egizia per curare malattie e usato per diagnosticare la fertilità della donna.
Che il cocomero abbia attività medicamentose lo ritiene pure il romano Caio Plinio Secondo o Plinio il Vecchio (??? - 79 d. C.) che lo considera lassativo, mentre il medico greco Dioscoride (40 circa d. C. – 90 circa d. C) gli attribuisce proprietà rinfrescanti e diuretiche, mentre nella medicina greca le bucce di anguria poste sulla testa sono usate per curare il colpo di calore. Opinioni e pratiche antiche che meritano di essere ricordate quando oggi la ricerca scientifica sta dimostrando attività farmaco-terapeutiche e nutraceutiche al cocomero.
L'anguria è ricca di levocitrullina, un aminoacido che si trasforma in arginina che dilata i vasi sanguigni in un processo simile a quello dei farmaci usati nella disfunzione erettile, come dimostrano test condotti su modelli animali e in alcuni studi clinici preliminari, con riduzione della pressione sanguigna in persone anche obese e con ipertensione arteriosa e con un miglioramento delle prestazioni di esercizio fisico in giovani adulti sani. Inoltre il consumo quotidiano di cocomero permette di ottenere una riduzione del peso corporeo, dell'indice di massa corporea (IMC) e della pressione sanguigna migliorando anche alcuni fattori associati al sovrappeso e all'obesità.
Meglio il pepe o il cocomero? Più gradevole dissetarsi con l’acqua o con il cocomero?
Meglio usare farmaci e una dieta ristretta o mangiare il nutraceutico cocomero? Antiche o nuove conoscenze?
Nel suo multimillenario successo il cocomero così è (se vi pare), direbbe Luigi Pirandello (1867 – 1936).
*Articolo ripreso da https://www.georgofili.info
LA DIETA NELL’ANTROPOCENE
Il termine scientifico per il consumo di insetti è “entomofagia”, dal greco éntomos (insetto) e phăgein (mangiare). L’entomofagia rappresenta una delle prime forme di alimentazione dell’uomo: pitture rupestri di Altamira, nel nord della Spagna, datate da 30.000 a 9.000 anni a.C., raffigurano collezioni di insetti commestibili. Testimonianze scritte risalenti al 2000 a.C. narrano quanto assiri e siriani fossero ghiotti nel consumare cavallette. A conferma di ciò, sulle pareti del maestoso palazzo assiro di Ninive, è possibile scorgere un bassorilievo raffigurante scene di un banchetto inaugurale, in cui i servitori trasportano piatti contenenti spiedini di cavallette. Aristotele stesso, nella sua Historia Animalium, elogia il piacere sensoriale che si prova mangiando la cicala madre. Plinio il Vecchio in Naturalis Historia racconta la modalità di preparazione e degustazione di una larva, probabilmente la Lucanuscervus o Prionuscorioranus. Stando alle stime della FAO, esistono oltre 1.900 specie di insetti commestibili consumati a tutti i vari stadi di crescita (uova, larve, crisalidi e adulti). Gli insetti più comunemente utilizzati appartengono all’ordine dei Coleotteri (31%), principalmente scarafaggi, seguono i Lepidotteri (18%), cioè i bruchi, al terzo posto, gli Imenotteri (14%), rappresentati da vespe, api e formiche, consumati prevalentemente nell’America Latina e gli Ortotteri (13%), con cavallette, locuste e grilli, seguiti da cicale, cocciniglie e cimici, appartenenti all’ordine degli Emitteri (10%). Molti insetti fanno parte della tradizione culinaria di diversi paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America del Sud, diversamente nei paesi dell’Europa e dell’America del Nord il loro consumo risulta ancora poco diffuso e visto con sospetto.
Sebbene i valori nutrizionali degli insetti commestibili siano altamente variabili, sia per l’elevata varietà di specie sia per lo stato metamorfico dell’insetto, il tipo di dieta, l’habitat e le stagioni, si può affermare con certezza che gli insetti forniscono quantità soddisfacenti di energia, con un contenuto calorico che oscilla tra le 293 e le 762 kilocalorie per 100 g di sostanza secca. Sono inoltre ricchi di acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi, di micronutrienti, come rame, magnesio, ferro, fosforo, zinco, selenio e manganese, nonché acido pantotenico, riboflavina e biotina. Dal punto di vista proteico risultano possedere proteine di buona qualità e alta digeribilità, con un contenuto di aminoacidi essenziali pari al 10-30% di tutti gli aminoacidi. Altro vantaggio innegabile a favore dell’utilizzo di insetti risiede nell’elevata efficienza di conversione del mangime in massa corporea: la produzione di 1 kg di grilli richiede appena 1,7 kg di mangime rispetto ai 2,5 kg per i prodotti avicoli, 5 kg per il maiale e 10 kg per la carne bovina. Si è inoltre stimato che fino all’80% di un grillo è commestibile e digeribile rispetto al 55% per pollo e suino e al 40% del bestiame. Relativamente all’impatto ambientale, vermi della farina, locuste e grilli producono basse emissioni di CO2, basti pensare che per avere un aumento di un kg di peso si producono meno di 100 gas serra equivalenti per vermi della farina, grilli e locuste, rispetto ai 2.800 gas serra equivalenti di un bovino; inoltre, per ogni ettaro di terreno necessario per produrre 1 kg di proteine dal verme della farina, sono necessari 2,5 ettari, rispetto ai 10 ettari per produrre un kg di proteine da bovino.
ENTOMOFAGIA
L’entomoterapia, lo studio delle capacità da parte degli insetti edibili di poter esercitare un effetto funzionale, antiossidante, anti-infiammatorio, immunomodulante etc. nell’uomo, rappresenta l’aspetto più innovativo e affascinante legato all’entomofagia. Gli studi a riguardo sono ancora molto limitati ma mostrano come il soggetto di studio possa avere implicazioni future estremamente interessanti. Il nostro gruppo ha recentemente mostrato come grilli, cavallette e bruchi d’africa esibiscono valori di capacità antiossidante non enzimatica in vitro superiori al succo d’arancia, mentre bachi da seta, formiche nere e larve della farina hanno valori comparabili. Inoltre, le frazioni lipofile del baco da seta, della cicala hanno valori di antiossidanti pari al doppio dell’olio d’oliva, mentre grilli, bruchi e buffalo worms mostrano valori comparabili. In linee cellulari di mioblasti, il grillo Brachytrupes orientalis ha dimostrato di diminuire la produzione intracellulare di radicali liberi, l’ossidazione lipidica, e stimolare l'espressione della proteina Nrf2 e glutatione S-transferasi, coinvolte nella risposta antiossidante allo stress. Una nostra recente revisione della letteratura ha evidenziato come ci siano evidenze sperimentali in vitro, su modelli cellulari e in modelli animali che suggeriscono in maniera evidente un ruolo da parte degli insetti edibili nella modulazione dello stress ossidativo, sebbene manchi ancora un’evidenza nell’Uomo. A tale proposito è stato osservato come un bagel a base di farina di grillo, somministrato a 20 adulti sani per sei settimane, abbia avuto un effetto positivo sul microbiota intestinale e ridotto l’infiammazione sistematica grazie ad una riduzione della citochina infiammatoria TNF-α.
Sebbene siano ancora molte le perplessità, da parte sia degli addetti ai lavori sia della gente comune, sull’utilizzo degli insetti come alimento abituale della nostra dieta, essi rappresentano una fonte proteica a basso impatto ambientale e a costi ridotti. Dovrà ora essere compito della comunità scientifica chiarire se esistono i presupposti dal punto di vista nutrizionale, microbiologico e funzionale, per considerare l’entomofagia come un’ulteriore opzione nell’ambito delle strategie di riduzione dell’impatto ambientale alimentare o una mera trovata mediatica. La sfida dei prossimi anni per la comunità scientifica sarà concentrata sulla capacità di aumentare le conoscenze del “trilemma” dieta, salute e ambiente, passo fondamentale per fornire ai cittadini raccomandazioni mirate per un utilizzo sostenibile del cibo attraverso la definizione di stili di vita funzionali e a basso impatto ambientale.
ENTOMOTERAPIA: LE PROPRIETÀ FUNZIONALI DEGLI INSETTI EDIBILI
DONATO ANGELINO MAURO SERAFINI
Fac. di Bioscienze e Tecnologie Agro-Alimentari e Ambientali, Università di Teramo | Italia
Bio...
Il Dr. Donato Angelino è ricercatore di tipo B e docente di “Alimentazione e Nutrizione Umana Sostenibile” presso l’Università di Teramo.
I suoi principali ambiti di ricerca riguardano:
- Disegno e conduzione di studi di intervento in ambito nutrizionale.
- Studio degli effetti sulla salute umana degli alimenti funzionali.
- Valutazione della bioaccessibilità e biodisponibilità dei composti bioattivi da diverse fonti vegetali.
Il Prof. Mauro Serafini è Professore Ordinario di Alimentazione e Nutrizione Umana, Università di Teramo e all’Università di Zagabria. Ha lavorato al Nutritional Immunology Laboratory, Tufts University e alla Kyoto University. Editore Capo di Frontiers in Nutritional Epidemiology. Incluso nella lista dei Ricercatori internazionali più citati (2002-2013). Vincitore del "Premio Gusto” della Stampa Estera e Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana per meriti scientifici.
CURIOSITÀ
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Voce: Mariagrazia Porretta
TKS / Editorial Assistant & Social Media Manager