MICROBIOTA INTESTINALE
E HEALTHY AGING
L’età rappresenta uno dei principali driver di variazione del microbiota intestinale (1). Il microbiota, infatti, modifica il suo profilo composizionale e funzionale dall’infanzia all’età adulta, in relazione a cambiamenti nella dieta, nello stile di vita o, in generale, nell’esposoma (vale a dire la totalità delle esposizioni che accompagnano il corso della nostra esistenza). Benché non sia tuttora chiaro se tali alterazioni contribuiscano alle transizioni fisiologiche correlate all’età o siano semplicemente cambiamenti biologici secondari, è ormai un dato di fatto che uno sviluppo “eubiotico” del microbiota intestinale è importante per il mantenimento della salute nel lungo termine.
Il microbiota inizia a formarsi al momento della nascita, in relazione a fattori come modalità del parto, utilizzo di antibiotici e tipo di allattamento (2). In generale, il microbiota intestinale dell’infante è dominato da bifidobatteri, che contribuiscono, tra l’altro, ad un corretto sviluppo del sistema immunitario. Alterazioni precoci del microbiota intestinale (con, in particolare, una diminuzione di bifidobatteri ed un incremento di patogeni opportunisti come gli enterobatteri) sono state, infatti, associate ad insorgenza di allergia, asma, atopia, ma anche obesità, diabete di tipo I e disordini del neurosviluppo, nel bambino e, successivamente, nell’adulto (3). A partire dallo svezzamento, il microbiota intestinale acquisisce via via maggiore complessità e stabilità (pur mantenendo un rilevante grado di plasticità, ovvero la capacità di variare in relazione a cambiamenti endogeni e/o esogeni, continuando a mantenere una relazione di simbiosi mutualistica con l’ospite), assumendo una configurazione cosiddetta “adult-like”, dominata da altri microrganismi, appartenenti ai phyla Firmicutes e Bacteroidetes. Tale configurazione è capace di svolgere una serie di funzioni benefiche per l’ospite adulto, quali metabolismo delle fibre, sintesi di vitamine, effetto barriera, modulazione del sistema immunitario, endocrino e nervoso, metabolismo di xenobiotici, etc. Tuttavia, ad oggi è difficile stabilire quando avvenga esattamente questa transizione, che verosimilmente è strettamente legata alla storia di ognuno di noi.
LO SVILUPPO DEL MICROBIOTA INTESTINALE
Con riferimento all’età anziana, gli studi disponibili hanno evidenziato una configurazione del microbiota intestinale “aged-type”, caratterizzata da: i) ridotta diversità (si ricorda che la diversità è un indicatore di microbiota sano e, in generale, di un buon stato di salute), ii) incrementate proporzioni di potenziali patogeni, come enterobatteri e solfobatteri, e iii) ridotta abbondanza di microrganismi tipicamente “health-associated” e generalmente produttori di acidi grassi a corta catena, come quelli appartenenti alle famiglie Lachnospiraceae e Ruminococcaceae, che invece dominano l’ecosistema microbico adulto (4). In particolare, gli acidi grassi a corta catena (come acetato, propionato e butirrato) sono metaboliti microbici derivanti dal metabolismo delle fibre, ai quali è stato attribuito un ruolo chiave e multifattoriale nella fisiologia dell’ospite, dalla regolazione metabolica all’omeostasi immunologica (5). Tale configurazione “aged-type” è generalmente associata ad uno stato infiammatorio e ipotizzata contribuire al declino funzionale correlato all’età (inclusa la sindrome di fragilità) (6). Ancora una volta, è impossibile stabilire un’età soglia al di sopra della quale si assiste a tali cambiamenti. A questo riguardo, uno dei primi studi sul tema, che ha analizzato il microbiota intestinale di anziani con diverso stato residenziale, ha proprio dimostrato che il microbiota di coloro che vivevano a casa loro e si trovavano in un buon stato di salute non si differenziava da quello di giovani adulti, a differenza del microbiota di anziani fragili residenti in case di cura, che appariva generalmente compromesso e tendenzialmente pro-infiammatorio (7). Tale compromissione consisteva principalmente nella riduzione delle proporzioni dei microrganismi capaci di produrre acidi grassi a corta catena e dei livelli fecali di tali acidi. Come discusso dagli autori, questo era verosimilmente correlato alla dieta, in particolare al basso consumo di fibre, così come ad altri fattori connessi alla patofisiologia dell’invecchiamento, come immunosenescenza e “inflamm-aging” (vale a dire l’infiammazione cronica di basso grado che caratterizza l’avanzamento dell’età) (8).
IL MICROBIOTA INTESTINALE DELL’ANZIANO: DALL’“EUBIOSI” ALLA “DISBIOSI”?
SILVIA TURRONI
Università di Bologna | Italia
Bio...
Silvia Turroni è Professore Associato in Chimica e Biotecnologia delle Fermentazioni, Dip. Farmacia e Biotecnologie, Università di Bologna (Bologna, Italia). La sua attività di ricerca, documentata da >160 pubblicazioni in riviste internazionali e >125 partecipazioni a congressi, riguarda principalmente il profiling composizionale e funzionale del microbioma umano e il suo impatto sulla salute.
Lo studio del microbiota intestinale in individui particolarmente longevi ha evidenziato alcune caratteristiche favorevoli, che potrebbero rappresentare potenziali marker di invecchiamento in salute e longevità (9, 10). Tali caratteristiche includono aumentate proporzioni di bifidobatteri (ben noti probiotici), Akkermansia (batterio degradatore di muco, utilizzato come postbiotico per il trattamento di obesità e complicanze correlate) e Christensenella (potenziale componente ereditabile di longevità), oltre al mantenimento dell’unicità del proprio profilo di microbiota. A questo riguardo, uno studio condotto su oltre 9000 individui ha dimostrato che il pattern del microbiota intestinale e, in particolare, la perdita del fingerprint microbico individuale erano in grado di predire una ridotta sopravvivenza (11). È interessante notare che tali caratteristiche sono comuni a popolazioni geograficamente distanti, come italiani, giapponesi e cinesi, il che rafforza la loro rilevanza come potenziali firme di longevità (10, 12). Tuttavia, come atteso, vi sono alcune differenze, verosimilmente legate a differenze nella dieta, nello stile di vita, nell’esposizione ambientale e, non ultimo, nella genetica. Benché non siano noti i meccanismi molecolari sottostanti, vale la pena ricordare che sia Akkermansia che Christensenella possiedono geni capaci di contrastare la formazione dei prodotti finali di glicazione avanzata, ben noti per essere implicati nell’invecchiamento (13). Inoltre, il mantenimento di un certo livello di diversità e l’arricchimento in microrganismi appartenenti alle famiglie Christensenellaceae, Porphyromonadaceae e Rikenellaceae sembrano essere protettivi nei confronti di disordini cardiovascolari e metabolici correlati al grasso viscerale in età avanzata (14). Tali caratteristiche sono, infatti, risultate associate a valori inferiori di tessuto adiposo viscerale, bassi livelli di fattori di rischio cardiovascolare e renale, alti livelli di adiponectina (citochina anti-infiammatoria), e bassi quantitativi di metaboliti circolanti potenzialmente pericolosi, come amminoacidi ramificati, acidi grassi e acidi biliari, oltre che ad abitudini alimentari più sane (in primis, maggiore consumo di fibre), il che conferma l’importanza della dieta come strumento di modulazione del microbiota intestinale e di supporto ad un invecchiamento in salute (15). In particolare, nel contesto del progetto europeo NU-AGE che coinvolgeva 5 nazioni (Italia, Francia, Paesi bassi, Polonia e Regno Unito), l’aderenza per un anno ad una dieta Mediterranea, fatta su misura per le persone anziane, è risultata associata ad aumentate proporzioni di batteri correlati a minore fragilità, migliorata funzionalità cognitiva, e diminuiti livelli di marker infiammatori (16). Inoltre, tale dieta risultava in una produzione potenzialmente aumentata di acidi grassi a corta catena, e in livelli potenzialmente ridotti di acidi grassi a catena ramificata (generalmente associati a resistenza insulinica, diabete ed infiammazione), acidi biliari e p-cresolo (metabolita microbico derivante dal metabolismo di amminoacidi ramificati, generalmente associato a outcome di salute sfavorevoli). Infine, dal punto di vista funzionale, è stato osservato con l’età un aumento di geni microbici coinvolti nella degradazione di xenobiotici, quali quelli derivanti dalle produzioni industriali, dagli scarichi urbani e da vari prodotti di consumo (17). Questo potrebbe essere il frutto di una risposta adattativa del microbiota intestinale all’invecchiamento nelle moderne società occidentali e contribuire all’instaurarsi di una nuova omeostasi.
Benché siano chiaramente necessarie ulteriori ricerche, i dati disponibili sono comunque promettenti e supportano una modulazione di precisione del microbiota intestinale, allo scopo di correggere eventuali stati disbiotici e contribuire all’healthy aging e, possibilmente, alla longevità.
IL MICROBIOTA INTESTINALE COME DRIVER DI HEALTHY AGING E LONGEVITÀ
Riferimenti bibliografici
Riferimenti bibliografici
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