PEPTIDI BIOATTIVI: NUOVE PROSPETTIVE
PER LA NUTRACEUTICA
Negli ultimi anni l’interesse nei confronti dei peptidi bioattivi, sia in ambito nutraceutico che cosmetico, è cresciuto in maniera esponenziale, incrementando studi e ricerche per l’ottenimento di prodotti volti ad apportare benefici per la salute umana, sia in termini preventivi che terapeutici.
I peptidi sono brevi sequenze di amminoacidi, frammenti di proteine che vengono resi disponibili grazie all’azione di opportuni enzimi durante il processo di digestione degli alimenti. All’interno della famiglia dei peptidi, sono definiti bioattivi quelli in grado di esercitare un effetto benefico sulle funzioni corporee e sul mantenimento della salute generale, al di là del mero valore nutrizionale (1,2,3): finché restano incorporati all’interno della proteina nativa, questi peptidi non mostrano alcuna attività biologica, ma, una volta liberati grazie all’idrolisi enzimatica, possono agire su importanti funzioni fisiologiche, tra cui la regolazione del metabolismo, la trasmissione dei segnali tra le cellule, il sostegno delle difese immunitarie, l’azione antiipertensiva, antinfiammatoria e antiossidante – per citarne alcune.
I possibili campi di utilizzo dei peptidi bioattivi sono molteplici: da quello alimentare, al farmaceutico, al nutraceutico, al cosmetico, ai cibi per animali, fino ad applicazioni tecnologiche (come agenti solubilizzanti, emulsionanti ecc). Nel presente articolo verrà posta attenzione sulle evidenze scientifiche in merito all’utilizzo dei peptidi bioattivi in ambito farmaceutico e, soprattutto, nutraceutico.
I PEPTIDI BIOATTIVI: COSA SONO E COME AGISCONO
I peptidi bioattivi sono composti da un numero di amminoacidi generalmente compreso tra 2 e 20, ottenuti prevalentemente dalle proteine alimentari, attraverso processi di digestione enzimatica o di fermentazione microbica; in alternativa, per l’ottenimento dei medesimi, si può ricorrere alla sintesi chimica: si parla in questo caso di peptidi biomimetici, ossia composti aventi la stessa sequenza amminoacidica degli analoghi naturali, ma ottenuti tramite processi biotecnologici (4,5).
Le principali fonti alimentari sono rappresentate dai prodotti di origine animale, quali latte, uova e carne; anche i prodotti ittici, come salmone, calamari, ricci e ostriche, possono costituire una buona base di partenza per l’ottenimento dei peptidi bioattivi. Esistono, inoltre, fonti vegetali, le più utilizzate delle quali sono soia, avena, legumi, cereali (grano) e semi (lino e canapa) (6,7,8).
Oltre alla fonte di origine, esistono diversi fattori che possono influenzare l’attività biologica dei peptidi bioattivi, tra cui il tipo di enzimi utilizzati, le condizioni in cui avviene la proteolisi (tempo, temperatura, pressione, pH ecc.), la lunghezza e la sequenza della catena peptidica (9).
I PEPTIDI BIOATTIVI: COME SI OTTENGONO
SONJA BELLOMI
Fondazione ITS Biotecnologie e Nuove Scienze della Vita Piemonte | Italia
Bio...
Sonja Bellomi, laureata in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche presso l’Università del Piemonte Orientale; dottore di Ricerca in Scienza delle Sostanze Bioattive.
Ha lavorato per 15 anni come ricercatrice nel settore farmaceutico, in campo analitico e formulativo. Attualmente si occupa di attività di docenza e divulgazione scientifica in ambito farmaceutico, nutraceutico e cosmetico.
EFFETTI DEI PEPTIDI BIOATTIVI SULLA SALUTE UMANA: COSA DICE LA RICERCA SCIENTIFICA
Come sottolineato nell’introduzione, negli ultimi anni l’interesse nei confronti dei peptidi biomimetici, sia dal punto di vista preventivo che terapeutico, è enormemente cresciuto: l’aumento vertiginoso delle patologie metaboliche legate allo stile di vita ha evidenziato quanto mai la necessità di individuare terapie alternative o complementari a quelle esclusivamente farmacologiche per il trattamento di ipertensione, diabete di tipo 2, iperlipidemie, stress ossidativo (10) – soprattutto considerando che tali terapie comportano l’uso di farmaci da assumersi per periodi molto prolungati (quando non a vita) e i cui effetti collaterali aumentano al protrarsi dell’uso. Da questo punto di vista, l’approccio nutrizionale – inteso come dieta, cibi funzionali e nutraceutici - potrebbe rivelarsi una strategia vincente, anche dal punto di vista dell’accettabilità da parte del paziente. I consumatori, d’altro canto, sono sempre più consapevoli dell’impatto del cibo sulla salute, come si riflette nella preferenza sempre più evidente accordata ai cibi biologici, agli alimenti fortificati e agli integratori: i peptidi bioattivi, derivati dagli alimenti e ragionevolmente privi di effetti collaterali seri, possono pertanto rappresentare una valida alternativa al farmaco, laddove possibile, per il trattamento di alcune patologie croniche (11).
Sul fronte scientifico, esistono già numerosi studi clinici che confermano le potenzialità dei peptidi biomimetici nel trattamento di ipertensione, dislipidemie, diabete e sindrome metabolica; meno robuste, invece, sono le ricerche condotte sull’utilizzo dei peptidi biomimetici per alcuni tipi di tumori, per i quali le evidenze ottenute a livello preclinico devono essere ancora confermate in studi sull’uomo (12).
Per dare un’idea della mole di lavoro in atto, esiste un database (BIOPEP-UWMTM) (13), attivo dal 2003 e in costante aggiornamento, che raccoglie sequenze peptidiche la cui attività biologica è stata descritta sperimentalmente oppure è stata prevista in silico: delle migliaia di sequenze identificate, solo un’esigua percentuale è stata ad oggi testata dal punto di vista clinico.
Di seguito verranno riportati alcuni dei risultati più interessanti e promettenti nell’ambito della ricerca sull’utilizzo dei peptidi biomimetici.
Infiammazione e stress ossidativo
Malattie cardiovascolari e cancro rappresentano ad oggi la prima causa di morte a livello globale, come riportato sul sito dell’AIRC, in riferimento ai risultati dello studio epidemiologico PURE (Prospective Urban Rural Epidemiologic Study), condotto su 160 mila persone di 21 diverse nazionalità (14).
Sebbene si tratti di patologie multifattoriali, è indubbia la componente legata all’infiammazione e allo stress ossidativo, che spesso rappresentano proprio il terreno sul quale successivamente si sviluppa la malattia (11). L’efficacia di alcuni peptidi bioattivi – in particolare quelli derivati dalla caseina del latte - sulla modulazione dell’infiammazione è stata dimostrata in numerosi test in vitro e in vivo, sebbene il meccanismo con cui agiscono non sia ancora del tutto chiarito e manchino studi robusti sull’uomo (12). Stesso discorso vale per l’attività antiossidante di alcuni amminoacidi, tra cui cisteina, metionina, istidina, acido glutammico, prolina e tirosina: questi amminoacidi sono in grado di donare elettroni ai radicali liberi, interrompendone la reazione a catena che porta all’ossidazione delle cellule bersaglio (15,16).
Gli studi sul meccanismo d’azione di questi peptidi sono ancora a livello preliminare, ma un’eventuale conferma sulla loro efficacia aprirebbe la strada a possibili applicazioni terapeutiche per tutte quelle patologie croniche – oltre alle già citate malattie cardiovascolari e al cancro - con forte componente ossidativa e infiammatoria, come il diabete, l’artrite reumatoide, le dislipidemie.
Ipertensione
Oltre a infiammazione e stress ossidativo, l’ipertensione rappresenta un altro importante fattore di rischio di insorgenza delle patologie cardiache. Una delle principali classi di farmaci per il controllo dell’ipertensione è rappresentata dagli ACE-inibitori, ossia dagli inibitori dell’enzima che converte l’angiotensina I in angiotensina II, un potente vasocostrittore endogeno. Ebbene, esistono numerosi peptidi bioattivi in grado di mimare l’effetto di questi farmaci, ossia di esercitare azione inibente sull’enzima ACE: tra essi la maggior parte è costituita da oligopeptidi derivati dal latte o dalla fermentazione di prodotti lattiero caseari (17).
Due latto-tripeptidi in particolare, Val-Pro-Pro (VPP) e Ile-Pro-Pro (IPP), hanno mostrato effetti discreti sulla riduzione della pressione sanguigna in diversi studi clinici randomizzati e controllati, anche se i risultati si sono rivelati talora controversi e non sempre significativi (18,19,20).
Ipercolesterolemia
Risultati interessanti sono stati ottenuti anche in termini di abbassamento dei livelli di colesterolo LDL in presenza di idrolizzati proteici derivanti da proteine di soia, latte e pesce (9): in particolare, gli idrolizzati proteici della soia pare siano più efficienti nel ridurre l’LDL rispetto alle proteine progenitrici e all’alimento in toto (21). Anche in questo caso, sono stati proposti diversi meccanismi d’azione con cui i peptidi potrebbero esercitare l’effetto ipocolesterolemizzante, tra cui l’inibizione dell’enzima deputato alla sintesi del colesterolo (l’HMG-CoA reduttasi, lo stesso su cui agiscono le statine), lo stimolo della sintesi dei recettori per le LDL, l’aumento di secrezione dei sali biliari (22,23).
Diabete
L’applicazione dei peptidi in medicina ha avuto inizio proprio con un antidiabetico: l’insulina, estratta dal pancreas animale - fu utilizzata per la prima volta nel 1922 per il trattamento del diabete di tipo 1 (24).
Ad oggi, sono stati identificati diversi peptidi con potenziale azione antidiabetica, ancora in fase di studio e caratterizzazione. Il meccanismo d’azione con cui agiscono questi peptidi potrebbe essere l’aumento della produzione di insulina – l’ormone endogeno ad azione ipoglicemizzante – e l’inibizione di alcuni enzimi coinvolti nella progressione del diabete (25).
Dal punto di vista farmaceutico – e a riprova del vivo interesse sulla ricerca dei peptidi biomimetici - è interessante segnalare che tra il 2015 e i 2019 l’FDA ha autorizzato l’immissione in commercio di 15 farmaci a base di peptidi, che rappresentano il 7% del totale dei farmaci approvati nello stesso arco di tempo (26): di questi 15 farmaci, 3 sono per il trattamento del diabete – uno a base di insulina modificata e gli altri due a base di peptide GLP-1 (Glucagon-like peptide-1). Il peptide GLP-1 è un ormone naturale coinvolto nella regolazione del glucosio nel sangue: gli agonisti del recettore GLP-1 sono stati sviluppati come terapie per il diabete di tipo 2, poichè imitano l'azione dell'ormone GLP-1, aumentando la produzione di insulina e riducendo il rilascio di glucosio dal fegato.
Si tratta però, in tutti e tre i casi, non di nutraceutici ma di farmaci, da assumere con iniezione sottocutanea.
Cancro
Un’altra importante e promettente area di ricerca sull’impiego dei peptidi bioattivi riguarda le patologie tumorali. Nonostante i numerosi progressi della medicina, le terapie di prima scelta – chemio e radio - comportano ancora una serie di pesanti effetti collaterali: non stupisce, dunque, che negli ultimi anni si sia assistito a una crescente interesse da parte dei pazienti verso terapie complementari, da affiancare a quelle tradizionali per potenziarne l’azione e ridurne gli effetti collaterali (27). Una parte importante della ricerca sulle terapie complementari si è rivolta proprio all’uso dei peptidi bioattivi, con i quali sono stati raccolti dati interessanti, nei test preliminari, in termini di inibizione di angiogenesi, proliferazione e migrazione cellulare, induzione dell’apoptosi ed effetto citotossico. Tra le sequenze studiate, quelle che hanno portato ai risultati più promettenti derivano dalle proteine della soia – in particolare la lunasina, un peptide composto da 43 amminoacidi (15,16) che si è dimostrato in grado di inibire in vitro la proliferazione di una linea cellulare (MCF7) del tumore al seno, riducendone l’espressione genica. Secondo altre ricerche, l’idrolizzato delle proteine di soia sarebbe in grado di ridurre non solo l’incidenza di tumore al seno, ma anche alla prostata all’esofago e all’apparato gastrointestinale (21).
A dispetto degli innumerevoli benefici evidenziati dalle ricerche preliminari sui peptidi bioattivi, rimangono ancora molte sfide da superare prima di poterne sfruttare appieno le potenzialità.
Oltre agli ostacoli relativi alla produzione, non ancora standardizzata, e ai relativi costi, esistono problematiche relative ad altri aspetti, come quello farmacocinetico, farmacodinamico e legislativo.
Dal punto di vista farmacocinetico, uno dei punti cruciali è l’assorbimento gastrointestinale dei peptidi - che devono essere resistenti agli enzimi digestivi per essere successivamente assorbiti a livello intestinale (attraverso meccanismi di penetrazione diretta, di trasporto attivo o di endocitosi/fagocitosi). La tecnologia in questo senso può venire in aiuto, per esempio con formulazioni gastroprotette, che liberino il peptide una volta raggiunta la sede di assorbimento. L’altro problema farmacocinetico riguarda l’emivita plasmatica dei peptidi bioattivi, a volte troppo breve, insufficiente perché raggiugano il sito bersaglio ed esplichino così la propria azione (10, 11).
Dal punto di vista farmacodinamico, molti dei meccanismi d’azione con cui agiscono i peptidi bioattivi non sono ancora stati completamente caratterizzati – e molti peptidi agiscono contemporaneamente su più funzioni fisiologiche, il che potrebbe rendere conto di effetti collaterali imprevisti. Mancano inoltre studi robusti sull’uomo, soprattutto a lungo termine, che consentano di definire la reale efficacia di questi prodotti, il corretto dosaggio ed eventuali effetti indesiderati non ancora emersi in fase di ricerca preliminare.
Infine, sotto l’aspetto legislativo, non è sempre ben chiaro come classificare i prodotti a base di peptidi bioattivi, se come farmaci, nutraceutici o novel foods – con le enormi differenze che l’una o l’altra scelta comporterebbe dal punto di vista dell’iter da seguire per l’immissione in commercio.
Attualmente ci sono più di 80 farmaci a base peptidica immessi sul mercato mondiale; 150 sono in fase clinica e altri 600 in corso di studi preclinici (24, 25): insomma, un mercato indubbiamente in fermento, destinato a crescere ulteriormente nei prossimi anni, ma che richiederà ancora molto sforzo e un impegno costante da parte della comunità scientifica e degli enti regolatori.
PEPTIDI BIOATTIVI: PRESENTE E FUTURO
Riferimenti bibliografici
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