EFFETTO LAYERING E SOVRAESPOSIZIONE OLFATTIVA

Quando si parla di effetto layering intendiamo quella pratica di creare un’esperienza più ricca, multi-sfaccettata, sfruttando la sovraesposizione di diversi elementi.

E se è vero che in diversi ambiti questa pratica è priva di rischi, anzi può quasi diventare un gioco, quando parliamo di profumo dobbiamo fare attenzione a molteplici fattori.

Nell’ambito della moda, dell’interior design, della musica e delle immagini (film, fotografia) aggiungere strati o livelli porta ad aumentare il volume, la ricercatezza, a creare nuove dimensioni. Tutto si amplifica. In poche parole, tutto diventa più accattivante, attrattivo.

Sarebbe bello poterlo pensare anche per le fragranze.

Qualcuno ha già passato sul mercato il concetto, abbinandolo anche al fatto che questa pratica può diventare una simpatica alternativa a quanto già presente sul mercato non considerando che prima di tutto abbiamo a che fare con sostanze chimiche e che la chimica per quanto affascinante un gioco non è…anzi.

Il processo di creazione di una fragranza oltre ad essere qualcosa di estremamente creativo segue regole ben precise, soprattutto in termini di safety.

Oggi, un naso creatore non è più in grado di rispondere ad un progetto senza prima passare da un servizio di regolatorio che determina se certe sostanze e certe percentuali sono ammesse. Parliamo di Regolamento Europeo, parliamo di IFRA, parliamo di conformità nei vari paesi extra UE, queste sono le nuove linee guida olfattive che si antepongono a quanto di più fantasioso e decisamente più stimolante c’era prima: Chypre, Fougere, Piramide olfattiva, note di testa, note di cuore e di fondo.


L’INGREDIENTE “ACQUA”

“6.8.1 THE WATER TREATMENT SYSTEM SHOULD SUPPLY A DEFINED QUALITY OF WATER”

Quindi cosa vuol dire tutto ciò? Che abbiamo smesso di sognare?

Come prima risposta mi verrebbe da dire di si. Il tutto a favore di una maggiore sicurezza in uso di certi prodotti. Oggi abbiamo molte limitazioni e molte regole da seguire, il tutto a discapito della libertà olfattiva. Ecco che il layering effect poteva essere una forma di “escamotage olfattivo” per ricreare quello che noi nei laboratori, a monte, non siamo più in grado di realizzare.

Ma se è vero che certe cose fanno male a monte, perché non dovrebbero farlo anche a valle?

Infatti, la natura ci insegna che i danni maggiori solitamente si hanno a valle, ed infatti basta guardare i disastri idrogeologici ai quali i nostri territori sono oramai sempre più soggetti.

E con la chimica, la situazione, in termini di sicurezza dermatologica, non è tanto diversa.

Se il mercato insegue il layering effect per un fine unico di aumentare i consumi direi che è una pratica poco accorta. In effetti, per quanto affascinante il concetto, salvo qualche caso particolare (per esempio video su social network che propongono misture e pratiche spesso improvvisate ) il mercato non sembra rispondere con entusiasmo. E questa è una buona cosa. Da valore a chi lavora a monte e conferma che creare (inventare) profumi non è improvvisazione.

E’ studio e conoscenza.


Se c’è una cosa positiva della sovraesposizione (non solo quella olfattiva) è che ci porta necessariamente a dover conoscere e nel conoscere ci si pone necessariamente delle domande. Le domande, se non sono a loro volta improvvisate, danno quasi sempre ragione ai professionisti del settore e a chi deve tutelare la sicurezza.

E quindi, il sogno olfattivo dove va a finire?

È possibile che tutta questa attenzione stia un po’ alla volta impoverendo l’aspettativa. Beh, quella non dipende unicamente dalla chimica. Quella dipende da noi. Dai consumatori, ma anche dai formulatori. Da una parte deve continuare la voglia di voler e saper sognare, dall’altra i famosi professionisti del settore devono accettare la sfida: essere capaci di far sognare. Anche se la coperta sembrerebbe essere sempre più corta (così come le formule).

E visto che all’inizio si parlava di layering effect nel mondo musicale è bello pensare che per cogliere certe sfumature si debba abbassare il volume, mi piacerebbe ipotizzare (anzi no..sognare) che un domani il consumatore si abitui a sentire i profumi anche a bassi dosaggi, cogliendo così sfumature e ricchezze olfattive ad oggi sconosciute, anestetizzate forse da effetti troppo dolci, gustativi, banali e azzarderei a dire, piuttosto scontati.


Il sogno è ricco, è sfaccettato, è multidimensionale, senza limiti e soprattutto senza regolatorio, gratuito, almeno fino ad oggi.

“6.8.2 WATER QUALITY SHOULD BE VERIFIED BY EITHER TESTING OR MONITORING OF PROCESS PARAMETERS”

Figura 1. I contaminanti dell'acqua

Riferimenti bibliografici

In conclusione, vorrei poter sperare in un profumo sicuro che anche senza una necessità di sovraesposizione ci permetta di continuare quell’esercizio di fantasia che è sempre stato parte dell’arte essenziera e del mondo cosmetico.

Non dimenticando in ultima analisi che il vero effetto layering è quello che il profumo ha sempre incontrato con l’odore unico della pelle di ognuno di noi. Ed è su quello che dobbiamo concentrare gli sforzi, al fine di continuare quella ricerca per trovare il nostro profumo, quello che ci appartiene, quello che ci rende particolari e quello che ci fa stare bene. Come è sempre stato.


La bellezza salverà il mondo” (Dostoevskij), “La verità sta nel mezzo” (Aristotele) e “La dose fa il veleno” (Paracelso) .. Testa, cuore e fondo del buonsenso e degli “aforismi olfattivi”.

“6.8.3 THE WATER TREATMENT SYSTEM SHOULD PERMIT SANITIZATION” e “6.8.5 MATERIALS USED IN WATER TREATMENT EQUIPMENT SHOULD BE SELECTED TO ENSURE THAT WATER QUALITY IS NOT AFFECTED”

“6.8.4 WATER TREATMENT EQUIPMENT SHOULD BE SET UP SO AS TO AVOID STAGNATION AND RISKS OF CONTAMINATION”

Vogliamo terminare questo articolo soffermandoci sul punto 4. Esso, come il punto 1, necessita a nostro avviso di particolare attenzione. Abbiamo già detto che l’acqua purificata tende a ricontaminarsi, questo è tanto più vero tanto più essa rimane statica. E’ altresì importante notare che ciò è valido non solo per il processo di purificazione, ma anche per le fasi di stoccaggio e distribuzione che devono quindi essere altrettanto accuratamente progettate e realizzate. E’ proprio su queste ultime fasi, spesso poco conosciute nella pratica, che vogliamo dedicare il nostro approfondimento.

Si entra qui nel vivo di una parte molto specifica che in ogni azienda varia a seconda dei layout delle aree di produzione, delle abitudini e dei flussi di lavoro, ma ci sono dei criteri che valgono trasversalmente per tutti.

Come garantire quindi che l’acqua purificata prodotta mantenga una qualità idonea fino al momento dell’utilizzo nelle preparazioni cosmetiche?

Innanzitutto, è necessario creare un sistema di ricircolo continuativo (avoid stagnation) a valle del sistema per la purificazione dell’acqua che parta dal serbatorio di stoccaggio e arrivi fino ai punti d’uso per poi tornare di nuovo nel serbatoio, definendo così quello che viene chiamato P&ID (Piping & Instrumentation Diagram). In esso verrà dettagliata la sequenza dei componenti atti al mantenimento dei parametri chiave per la qualità dell’acqua. Di seguito, per meglio chiarirne il concetto, riportiamo un esempio di P&ID:

Il primo elemento rappresentato nel P&ID è il serbatoio di stoccaggio, esso presenta alcune caratteristiche costruttive fondamentali per la conservazione dell’acqua quali: un filtro di ventilazione (tipicamente multistrato, per la rimozione dei contaminanti aerodispersi e della CO2 che causerebbe una lenta acidificazione dell’acqua), un fondo conico per garantire lo svuotamento totale, una spry ball per il lavaggio della parte di testa e delle pareti, una lampada UV e un sensore di livello a pressione. Ognuno di questi accessori verrà collegato mediante connessioni “pulite” che non creino interstizi di ristagno dell’acqua (il tipo di connessione TRI-CLAMP, ad esempio, è ritenuta una delle migliori connessioni in tal senso). L’acqua viene poi spinta verso i punti d’uso, tipicamente le elettrovalvole comandate da un batch-controller e posizionate nei pressi di ogni turboemulsore, mediante delle pompe correttamente dimensionate per garantire una portata e una velocità di flusso sufficienti a generare un moto turbolento all’interno dell’anello di distribuzione. Grazie a questo fenomeno, infatti, si avrà un effetto di autopulizia che renderà molto meno agevole il deposito di biofilm sulle pareti.Dopo essere transitata per i punti d’uso, indipendentemente dal rispettivo utilizzo, l’acqua tornerà al serbatorio e ricomincerà il suo ciclo. Questo permetterà di evitare che l’acqua ristagni nei periodi di inattività produttiva legati ai tempi morti tra una lavorazione e l’altra.Nell’esempio di P&ID in figura abbiamo aggiunto anche alcuni elementi accessori che riteniamo utili al nostro scopo. Essi possono essere definiti di volta in volta a seconda delle specifiche esigenze e sono rappresentati da: un passaggio su UV (il continuo irraggiamento dell’acqua in ricircolo riduce la proliferazione microbica), una filtrazione in linea su filtro 0,22 (si tratta di un filtro assoluto quindi di un’efficacissima barriera al passaggio dei m.o.) e un sistema di campionamento sanitario prima del rientro sul serbatoio per agevolare le operazioni di prelievo microbiologico e migliorarne l’affidabilità. In conclusione, l’esempio di cui sopra potrebbe essere arricchito con molti altri accorgimenti, ad esempio un sistema di abbattimento della temperatura, ma questo tipo di dettaglio esula dallo scopo di questo articolo che intende invece condividere una visione d’insieme per la corretta gestione dell’ingrediente ACQUA, in quanto fattore critico per le esigenze del settore cosmetico dove esso è molto spesso al primo posto nella lista INCI di un prodotto finito raggiungendo percentuali superiori al 60%. La qualità di un prodotto cosmetico è legata a doppia mandata alla qualità dell’acqua utilizzata in produzione che rappresenta quindi un asset fondamentale per lo sviluppo di prodotti premium, innovativi e sostenibili.

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(2a PARTE)