Legge e dintorni
Antonio Fiumara
Avvocato dello Studio Avvocato Andreis e associati | Italia
L’avv. Antonio Fiumara è specializzato nel diritto penale di impresa e in particolare nel diritto alimentare, ambientale e della sicurezza e igiene sul lavoro. Assiste e difende le aziende in ambito penale e presta consulenza specialistica anche nelle fasi di contenzioso civile e amministrativo. È autore di articoli pubblicati su riviste di settore ed interviene quale relatore a convegni e seminari.
Bio...
Con la recente sentenza Parfumerie Akzente GmbH contro KTF Organization Aktiebolag (causa C-88/23), pubblicata il 19 settembre 2024, la Corte di Giustizia della Unione Europea (CGUE) si è pronunciata sui requisiti di etichettatura dei prodotti cosmetici venduti online, confermando che questi devono essere indicati nella “lingua” del Paese in cui i prodotti vengono commercializzati (1).
Si tratta, a ben vedere, di un orientamento che garantisce la tutela del consumatore poiché, come osservato dalla stessa Corte, la protezione della salute umana non potrebbe essere pienamente garantita se gli utilizzatori del prodotto non fossero in grado di conoscere e comprendere appieno le indicazioni apposte in etichetta e, in particolare, i dettagli relativi alla funzione del cosmetico in questione e le precauzioni speciali da osservare quando lo si utilizza.
Le informazioni che i produttori o i distributori dei prodotti cosmetici hanno l’obbligo di indicare sul recipiente e sull’imballaggio del prodotto, salvo qualora possano essere efficacemente trasmesse mediante pittogrammi o segni diversi dalle parole, sarebbero infatti prive di utilità pratica se formulate in una lingua incomprensibile ai destinatari.
Peraltro, l’utilizzo della lingua del Paese in cui il prodotto viene venduto consente a ciascuno Stato membro di vigilare direttamente sul rispetto, nel suo territorio, delle norme che disciplinano l’etichettatura dei prodotti.
La vicenda in esame trae origine dalla controversia che la KTF Organization, società di servizi di una organizzazione industriale per aziende che importano e commercializzano prodotti cosmetici, aveva promosso contro la società tedesca Parfumerie Akzente per avere, quest’ultima, commercializzato sul territorio svedese prodotti cosmetici (segnatamente quelli che consentono la decolorazione e la tintura dei capelli) non etichettati in lingua svedese.
La vendita non era stata effettuata attraverso punti vendita fisici, ma unicamente per mezzo del sito web aziendale. I Giudici hanno dovuto quindi pronunciarsi sul rapporto esistente tra la Direttiva 31/2000 sul “commercio elettronico” e l’art. 19 del Reg. 1223/2009 che disciplina l’etichettatura obbligatoria dei cosmetici.
Senza poter approfondire in questa sede gli aspetti giuridici, particolarmente complessi, che hanno interessato la Corte, si vuole solo ricordare che la necessità di chiarire il rapporto esistente tra le due normative nasce dal fatto che la società tedesca si è difesa sostenendo che le prescrizioni concernenti l’etichettatura dei prodotti venduti sul proprio sito internet rientrerebbero nella nozione di “ambito regolamentato” di cui alla Direttiva 31/2000 (2), e pertanto, per tali prodotti, non potrebbero essere imposti requisiti più stringenti rispetto a quelli previsti nel Paese in cui la società è stabilita (nel caso di specie, quindi, la normativa tedesca).
Ed infatti, al fine di garantire la libera circolazione delle merci ed eliminare incertezze sull’individuazione della legge applicabile, la Direttiva 31 sul commercio elettronico stabilisce che gli Stati membri non possono, per motivi che rientrano nell’ambito regolamentato, limitare la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione provenienti da un altro Stato membro. In altri termini, sarebbe applicabile, in linea generale, il c.d. principio del “paese di origine” secondo il quale occorre fare riferimento alla normativa dello Stato membro in cui ha sede il prestatore del servizio e non invece a quella del luogo ove si trova l’acquirente.
Come detto, la CGUE ha però ritenuto che l’etichettatura, al pari del confezionamento, della forma o della composizione, costituisce un requisito del bene in quanto tale e non può pertanto farsi rientrare nel c.d. “ambito regolamentato” di cui alla Direttiva 31/2000.
In considerazione di ciò, l’etichettatura applicabile ai prodotti cosmetici promossi e venduti online deve sempre rispettare le disposizioni del Reg. 1223/2009 che prevede, tra le altre cose, che la lingua nella quale fornire le informazioni che accompagnano il prodotto (e in particolare, la data di durata minima, le precauzioni particolari per l’impiego e la funzione del prodotto cosmetico) debba essere determinata dallo Stato membro sul cui territorio si trovano i consumatori destinatari della vendita online.
Coerentemente con tale principio, l’operatore che esporta prodotti cosmetici dovrà rispettare le disposizioni in materia di etichettatura vigenti nel Paese di destinazione, con la conseguenza che le etichette andranno tradotte nella lingua dello Stato membro del consumatore acquirente.
Tale sentenza ci riporta alla mente un’altra interessante pronuncia della Corte di Giustizia UE del 17 dicembre 2020 (C‑667/19) (3) con la quale i Giudici di Lussemburgo si erano già pronunciati sui requisiti di etichettatura dei cosmetici, e in particolare sull’obbligo di utilizzare la lingua del Paese di commercializzazione, considerando che le informazioni riportate si riflettono direttamente sul profilo della salute del consumatore.
In questo caso, in particolare, la Corte aveva anche aggiunto che il fatto che i prodotti cosmetici fossero importati - e pertanto ci potessero essere difficoltà di natura organizzativa e finanziaria connesse alla necessità di tradurre le informazioni e di effettuare operazioni di rietichettatura, o anche di reimballaggio - non potesse rappresentare di per sé una causa di giustificazione.
Ed infatti, i costi generati dalla predisposizione di una nuova etichetta, tradotta in una o più lingue diverse ai fini della commercializzazione in altri Stati membri, non possono essere mai considerati come un motivo che giustifichi un’etichettatura incompleta del prodotto sul recipiente e sull’imballaggio.
Parimenti, il fatto che l’etichettatura dei prodotti cosmetici possa incombere ad un soggetto terzo, in virtù dei rapporti che intercorrono tra i diversi operatori lungo la filiera, non rappresenta neanch’esso un’impossibilità pratica di far figurare le indicazioni richieste nella corretta lingua.
La volontà del fabbricante o del distributore di facilitare la circolazione dei cosmetici all’interno dell’Unione non è infatti di per sé sufficiente a giustificare un’indicazione incompleta delle informazioni obbligatorie.
L’etichetta dei cosmetici deve seguire la lingua del paese di commercializzazione
Riferimenti bibliografici
Riferimenti bibliografici
- https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf;jsessionid=88201E6A504ED015296E69CA6232D933?text=&docid=290209&pageIndex=0&doclang=it&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=5395979
- l’art. 2, lettera h) della Direttiva 31/2000 definisce l’«ambito regolamentato» come le prescrizioni degli ordinamenti degli Stati membri e applicabili ai prestatori di servizi della società dell'informazione o ai servizi della società dell'informazione, indipendentemente dal fatto che siano di carattere generale o loro specificamente destinati.
i) l’ambito regolamentato riguarda le prescrizioni che il prestatore deve soddisfare per quanto concerne:
• l'accesso all’attività di servizi della società dell'informazione, quali ad esempio le prescrizioni riguardanti le qualifiche e i regimi di autorizzazione o notifica
• l’esercizio dell'attività di servizi della società dell'informazione, quali ad esempio le prescrizioni riguardanti il comportamento del prestatore, la qualità o i contenuti del servizio, comprese le prescrizioni applicabili alla pubblicità e ai contratti, oppure la responsabilità del prestatore
ii) l’ambito regolamentato non comprende le norme su:
• le merci in quanto tali
• la consegna delle merci
• i servizi non prestati per via elettronic