GINKGO BILOBA (L.,1771)
Definito da Charles Darwin “fossile vivente”, il Ginkgo è una delle piante più antiche presenti sulla terra: esistono testimonianze sulla sua esistenza risalenti fino a 200 milioni di anni fa, in epoca giurassica.
Dal punto di vista geografico, numerose fonti fanno risalire l’origine della pianta in estremo oriente: in Cina e Giappone è presente da sempre, coltivata nei giardini e nei luoghi di culto e venerata come albero sacro. Per quanto è dato conoscere, il Ginkgo rimase confinato in Cina fino alla fine del 1600, quando un botanico tedesco, Engelbert Kaempfer, lo introdusse in Europa e Linneo, nel secolo successivo, lo classificò nel suo Mantissa plantarum – pare, scrivendone il nome in modo errato: il corretto nome del Ginkgo sarebbe Ginkyo, come lo pronunciano i giapponesi, ma ormai il nome è quello che, a partire appunto da Linneo, conosciamo da secoli.
Dal punto di vista terapeutico, il Ginkgo era conosciuto e utilizzato fin dagli albori nella Medicina Tradizionale Cinese per il trattamento di una serie di patologie respiratorie (asma e bronchiti), circolatorie, urinarie e per i disturbi legati all’invecchiamento.
La scienza moderna ne ha messo in luce alcune potenzialità, ma gli studi sul Ginkgo sono relativamente recenti e tutt’altro che conclusivi. Al momento le indicazioni terapeutiche riguardano principalmente il trattamento delle forme lievi di demenza senile e dei problemi di concentrazione e memoria; esistono inoltre alcuni risultati positivi in merito al possibile utilizzo in caso di:
Degenerazione maculare senile
Claudicatio intermittens
Tinnito (acufeni)
Si tratta, tuttavia, di applicazioni ancora in fase di studio (1).
INTRODUZIONE
Il decadimento cognitivo lieve (spesso indicato con l’acronimo inglese MCI: Mild Cognitive Impairment) è una condizione clinica che interessa generalmente persone dai 65 anni in su, caratterizzata dall’alterazione di una più capacità legate alla sfera cognitiva – linguaggio, memoria, concentrazione – diagnosticabile dal punto di vista clinico, ma non tale da compromettere lo svolgimento delle normali attività quotidiane. In una percentuale stimata, secondo le ricerche più recenti, tra il 10 e il 15%, l’MCI può evolvere verso forme di demenza moderate o serie: per questa ragione è importante avere a disposizione più strumenti possibili, se non per evitare, quantomeno per rallentare la progressione della patologia.
Dal punto di vista farmacologico, tra i medicinali a disposizione per trattare i sintomi di alcune forme di demenza (tra cui l’Alzheimer) ci sono gli inibitori delle colinesterasi (donepezil, rivastigmina, galantamina), che tuttavia sembrano avere un’efficacia molto limitata sul miglioramento dei sintomi; per il trattamento del deficit cognitivo lieve, invece, non esistono al momento farmaci approvati in Italia.
Peraltro, le più recenti linee guida per il trattamento dell’MCI pubblicate dall’American Academy of Neurology (AAN) hanno di fatto “bocciato” i farmaci inibitori delle colinesterasi, mentre sono state promosse a pieni voti l’attività fisica, effettuata almeno due volte a settimana, e la ginnastica mentale (tramite stimolazione cognitiva) come metodi efficaci per arrestare la progressione della patologia (2).
Anche la dieta mediterranea sembra poter contribuire in modo significativo nel ridurre l’incidenza dell’MCI e la sua evoluzione verso forme di demenza: questa azione sarebbe dovuta all’elevato contenuto di vitamine, minerali e polifenoli ad azione antinfiammatoria e antiossidante, di cui la dieta mediterranea risulta particolarmente ricca. (6,7).
Infiammazione e stress ossidativo, infatti, sono considerati fattori determinanti coinvolti nello sviluppo e nella progressione del declino cognitivo: da qui il crescente interesse nell’individuare sostanze che siano in grado di contrastare i fenomeni ossidativi e dunque possano avere un ruolo nella prevenzione e nel rallentamento di questo tipo di patologia. Tra queste sostanze rientrano i polifenoli (favonoidi, flavonoli, tannini, catechine ecc), presenti in numerosi alimenti, tra cui frutti rossi, albicocche, pesche, cereali integrali, legumi, aglio e cipolle.
Tra le piante più studiate per l’azione antiossidante in ragione dell’elevato contenuto in polifenoli troviamo proprio il Ginkgo biloba – che, secondo alcuni autori, risulta essere la pianta più studiata per le patologie legate alla sfera cognitiva (9).
IL DECADIMENTO COGNITIVO LIEVE
SONJA BELLOMI
Fondazione ITS Biotecnologie e Nuove Scienze della Vita Piemonte | Italia
Bio...
Sonja Bellomi, laureata in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche presso l’Università del Piemonte Orientale; dottore di Ricerca in Scienza delle Sostanze Bioattive.
Ha lavorato per 15 anni come ricercatrice nel settore farmaceutico, in campo analitico e formulativo. Attualmente si occupa di attività di docenza e divulgazione scientifica in ambito farmaceutico, nutraceutico e cosmetico.
Della pianta di Ginkgo si utilizzano foglie e semi, che contengono numerose sostanze bioattive:
Terpeni trilattoni (ginkgolidi A,B,C e bilobalide)
Glicosidi flavonoidi (derivati di quercetina e campferolo)
Biflavoni
Proantocianidine
Alchilfenoli e acidi fenolici
I componenti maggiormente attivi, responsabili dell’azione farmacologica, sono considerati i primi due, i trilattoni e i flavonoidi (1,3).
GINKGO BILOBA: LE MOLECOLE ATTIVE
I primi studi sull’effetto neuroprotettivo del Ginkgo risalgono agli anni ‘60 del secolo scorso, ad opera della dr Willmar Schwabe Pharmaceuticals, la stessa azienda che vent’anni dopo produsse l’estratto standardizzato EGb 761®, utilizzato ancor oggi nella maggior parte degli studi scientifici sugli effetti del Ginkgo biloba.
L’esatto meccanismo d’azione delle foglie del Ginkgo biloba nel trattamento del deficit cognitivo non è ancora del tutto chiarito, ma si ritiene che si esplichi attraverso 4 effetti:
- aumento della neurogenesi e della formazione di sinapsi cerebrali (i collegamenti tra i neuroni)
- protezione dell’ossidazione del DNA mitocondriale, attraverso l’inattivazione dei radicali liberi dell’ossigeno e il potenziamento degli antiossidanti endogeni
- miglioramento della trasmissione neuronale
- diminuzione della viscosità del sangue e miglioramento della perfusione a livello cerebrale
L’azione sarebbe dovuta in particolare alla presenza dei flavonoidi, molecole ad azione protettiva nei confronti di numerosi agenti neurotossici (compresa la proteina beta-amiloide coinvolta nella patogenesi dell’Alzheimer) (6,12,13,14).
GINKGO BILOBA: MECCANISMO D’AZIONE
Sulla base delle indicazioni fornite dall’HPMC - il comitato dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) per il monitoraggio di principi attivi di origine vegetale – l’EMA riporta come i medicinali a base di estratto secco di foglie di ginkgo “possano essere usati per rallentare il deficit cognitivo correlato all'avanzare dell’età e per migliorare la qualità della vita di soggetti adulti affetti da forme lievi di demenza” (4).
L’HPMC riporta inoltre che gli stessi estratti di foglie di Ginkgo possono trovare applicazione anche nel trattamento della sindrome delle gambe pesanti e di lievi problemi circolatori (mani e piedi freddi), laddove non sussistano problematiche serie che richiedano un intervento farmacologico.
Le conclusioni dell’HPMC sull’utilizzo del Ginkgo per il decadimento cognitivo senile e per le forme lievi di demenza si basano sul cosiddetto “uso consolidato”, ossia sull’esistenza di prove scientifiche relative ad efficacia e sicurezza sull’utilizzo del Ginkgo per un periodo di almeno 10 anni all’interno dell’Unione Europea.
Dal punto di vista scientifico, in effetti, le prove a sostegno dell’effetto benefico degli estratti di Ginkgo nel trattamento delle forme lievi di decadimento cognitivo sono numerose.
Una revisione sistematica pubblicata nel 2013, ad opera del Dipartimento di Scienze Comportamentali dell’Università di Pavia, ha riportato i risultati di 8 studi randomizzati controllati, condotti somministrando l’estratto di Ginkgo standardizzato EGb 761® a pazienti con problemi di demenza: i risultati ottenuti evidenziavano un miglioramento significativo, seppur modesto, sulle funzioni cognitive e sulla capacità di svolgere le azioni quotidiane in autonomia (10).
In una revisione più recente, pubblicata nel 2018, sono stati riportati i risultati di 4 studi che mettevano a confronto l’estratto di Ginkgo biloba (EGb 761®) con un placebo: in tutti e 4 gli studi, che hanno coinvolto complessivamente 1628 pazienti su un arco temporale di 24 settimane, il Ginkgo si è dimostrato superiore al placebo nel migliorare i sintomi comportamentali e psicologici legati alla demenza lieve o moderata (8).
Alle medesime conclusioni è giunta una successiva revisione pubblicata nel 2021, condotta sotto la direzione dell’Istituto San Raffaele di Roma: l’estratto standardizzato di foglie di Ginkgo (EGb 761®) ha prodotto effetti positivi sulle funzioni cognitive, sui sintomi comportamentali e sul mantenimento dell’autonomia in pazienti anziani con lieve declino cognitivo o moderate forme di demenza senile, con impatto positivo anche in termini di miglioramento della qualità di vita dei caregivers che assistevano i pazienti (7).
Infine, uno studio tedesco pubblicato nel 2022, che ha seguito complessivamente 24483 pazienti anziani con diagnosi di MCI, lungo un arco temporale compreso tra 3 e 20 anni, ha evidenziato come l’assunzione periodica di estratto di Ginkgo risulti associata in modo significativo alla prevenzione di forme più gravi di demenza (11).
Se è vero che il Ginkgo può essere in grado di migliorare forme lievi di demenza senile e scongiurare forme più serie,
non sembra invece altrettanto efficace nel prevenire in senso assoluto la manifestazione dell’MCI: l’effetto del Ginkgo sulle performance cognitive di soggetti giovani e sani sembra sia limitato all’utilizzo a breve termine, mentre non vi sono evidenze scientifiche che l’uso prolungato, partendo da giovane età, possa avere effetto preventivo nell’evitare deficit cognitivi in età avanzata (5).
GINKGO BILOBA: EFFETTI SU MEMORIA E DECADIMENTO COGNITIVO
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